“Italia sì, Italia no”: la nuova mappa delle Regioni in cantiere

Palazzo Vecchio a Firenze ( Filippo Monteforte/Afp/Getty Images)
Palazzo Vecchio a Firenze ( Filippo Monteforte/Afp/Getty Images)

Si mormora a Montecitorio del rimpasto delle Regioni e più precisamente di una proposta di legge presentata da due parlamentari del Partito Democratico Roberto Morassut e Raffaele Ranucci che sarebbe tra l’altro tema di un dibattito della Conferenza delle Regioni, tanto che il presidente Sergio Chiamparino avrebbe anche chiesto un incontro al premier Matteo Renzi per “discutere di prospettive e ruolo delle Regioni”.

La Nuova Italia secondo il Pd

La proposta del Pd mira a cambiare il volto dell’Italia e in barba alle tradizione locali, alle diversità geografiche scomparirebbero alcune regioni storiche come Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, accorpate in quella che nel progetto potrebbe essere chiamata la Regione Alpina.
Stesso destino anche alle Marche, Abruzzo e Molise che diventerebbero parte della Regione Adriatica che includerebbe una parte della provincia di Rieti, attualmente nel Lazio.
Nel Nord, resterebbe indenne solo la Lombardia infatti oltre alla Regione Alpina nascerebbe anche il Triveneto che vedrebbe unite le regioni  Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige.
Per il Centro,  si prevede anche la Regione Appenninica che unirebbe la Toscana, Umbria e la provincia di Viterbo.  Dal canto suo, il Lazio  scomparirebbe per diventare un grande distretto di Roma Capitale, abbandonando le sue province, quella di Rieti alla Regione Adriatica e quelle meridionali, come Frosinone e Latina alla Regione Tirrenica che includerebbe la Campania.
Insomma, a corredo, il Sud d’Italia si trasformerebbe nella Regione Levante con Puglia, Calabria e Basilicata, mentre Sicilia e Sardegna sarebbero salvaguardate e resterebbero immutate come la Lombardia.

Il risparmio

Tra le motivazioni indicate nel progetto, vi sarebbe un risparmio di 400 milioni di euro sui 1.160 milioni di euro attuali spesi per i consigli regionali. Ma il piano di certo non tiene conto delle conseguenze che ne potrebbero scaturire compresi i problemi logistici e  del personale. Lo stesso presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, in un’intervista a Repubblica ha spiegato che “le circoscrizioni regionali furono definite in un’altra era, quando la società era ancora molto agricola e non esisteva il mercato unico europeo”, sottolineando che “i confini regionali non corrispondono più ad ambiti ottimali per il buon governo: quasi 70 anni dopo che sono stati disegnati e dopo 40 anni di funzionamento, si può pensare a rivedere lo stato di cose”.  Zingaretti ammonisce che “non dobbiamo commettere l’errore, emerso sulle Province, di affidarsi agli slogan o ai colpi di mano solo nell’idea di tagliare lo Stato per risparmiare. Queste riforme vanno fatte con l’obiettivo riorganizzare lo Stato, ma per farlo funzionare meglio. Come la vedo io, un’autoriforma delle Regioni mira anche a fornire servizi di qualità ai cittadini mettendo in comune certe funzioni di governo”.

Insomma, il nuovo progetto sembra accogliere il consenso anche di altri partiti. Tanto che il vice capogruppo vicario di Forza Italia alla Camera, Mariastella Gelmini, ha voluto commentare che “l ‘accorpamento potrebbe portare benefici importanti alla spesa pubblica e ai cittadini massacrati di tasse”, pensando che al risparmio iniziale ve ne sarebbero altri con aggiustamenti successivi. “I risparmi dovrebbero andare solo parzialmente a beneficio delle casse dello Stato, mentre maggiore deve essere lo sgravio di tributi pagati dai cittadini”, ha pertanto concluso la Gelmini.
Dello stesso avviso anche il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro che su Twitter ha commentato la dichiarazione di Zingaretti: “Anche il Pd condivide mia proposta per dire stop alle attuali regioni e sì alle macroaree. Molto bene meglio tardi che mai”.

Primo step: le Città metropolitane

Ma il piano sembra quanto meno lontano da ipotesi di realizzazione se si considera la complessità della riforma della Città Metropolitane, sullo stampo nordico che mira ad accorpare le province. Infatti, dalla Conferenza delle Regioni emergono ancora molti nodi da sciogliere, a partire  dalla legge di stabilità. Tanto che questa mattina, viene chiesto al governo di assumere “i necessari provvedimenti normativi al fine di impedire che le nascenti città metropolitane debbano subire sanzioni per il mancato rispetto del Patto di stabilità interno da parte delle Province che stanno ultimando la propria attività”.
E’ quanto emerge dal primo atto dell’assemblea dei sindaci del milanese riuniti questa mattina per la ratifica dello Statuto della città metropolitana.
Il sindaco Giuliano Pisapia ha presentato una mozione che è stata votata all’unanimità nella quale definisce del tutto inaccettabile” e “assolutamente inammissibile, oltre che profondamente ingiusto e ingiustificato, che una nuova istituzioni erediti le penalizzazioni di altra e diversa istituzione, con rischi gravissimi in ordine alla paralisi operativa, tenuto conto anche dei già rilevanti pesi che la legge di stabilità comunque pone in capo anche alle nascenti istituzioni”.

Perplessità

Il progetto della nuova mappa dell’Italia, come sottolinea Il Giornale, si rifletterebbe anche sul piano costituzionale in quanto cancellerebbe le “specialità” regionali previste in Costituzione.
Al contempo, ci si chiede quale sviluppi avrebbe nella riforma costituzionale legata al Senato e alla legge elettorale. Un rompicapo dal quale sembra difficile tirare le somme e nel quale ancora una volta, ci viene da pensare che la politica italiana è maestra nel mettere “il carro prima dei buoi”. Infine, ci chiediamo quale sarebbe la ripercussione anche sul piano storio-culturale dell’Italia e della sua immagine all’estero, dove alcune regioni come la “Toscana” sono state decantate in  straordinarie  canzoni.
Dal Granducato alla Regione Appenninica, dalla Repubblica di Venezia al Triveneto: chissà cosa penserebbero i fautori dell’Unità d’Italia.

C.D.