
Adam Kabobo, il giovane ghanese che l’11 maggio 2013 ha ucciso a picconate tre passanti nel quartiere Niguarda di Milano, è stato condannato oggi a vent’anni di carcere dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano, che ha così confermato la condanna in primo grado disposta dal gup del tribunale di Milano, Manuela Scudieri. La pena corrisponde alla richiesta del sostituto procuratore generale, Carmen Manfredda.
In Appello, così come in primo grado, la pena è stata ridotta di un terzo ‘grazie’ alla scelta del rito abbreviato e alla concessione della seminfermità mentale al momento dell’aggressione. Confermati anche tre anni di cura in un istituto di igiene mentale nel periodo post-detenzione. Dopo la sentenza di primo grado, Andrea Masini, figlio di una delle vittime della furia omicida di Kabobo, espresse così tutta la propria delusione: “In qualsiasi altro Paese, come negli Stati Uniti, Kabobo sarebbe stato condannato alla pena di morte o all’ergastolo”.
Nell’ottobre 2013, venne reso noto dal gip di Milano l’esito della perizia psichiatrica. Gli esperti hanno dimostrato che “non ha commesso gli omicidi in totale assenza di coscienza” in quanto “ricorda la numerosità delle vittime, il loro genere , le sequenza degli atti e le armi usate”. Rispetto al movente, una delle ipotesi evidenzia che Kabobo era “in preda alla necessità di soddisfare i bisogni primari. Non essendo in grado di soddisfarli per la limitatezza strutturale delle risorse emotive – cognitive e della confusione psicotica”, per i periti il killer ha pertanto messo in atto “un comportamento predatorio primitivo finalizzato all’acquisizione di tali risorse, senza operare una valutazione razionale del rapporto costi – benefici”.
Una nuova perizia, a gennaio dello scorso anno, sostenne che le condizioni di salute mentale del ghanese Adam Kabobo erano incompatibili col carcere, per cui il killer del machete venne trasferito da S.Vittore a un ospedale psichiatrico giudiziario. Qualche mese prima, aveva provato a strangolare il proprio compagno di cella.
GM