Omicidi del piccone, Kabobo si credeva “il creatore”

Adam Kabobo (screenshot youtube)
Adam Kabobo (screenshot youtube)

“Visto che sono io il creatore e poi dormivo in mezzo alla strada, avevo freddo, non avevo da mangiare … tutti questi problemi io li ho accumulati e mi hanno condotto a fare tutto quello che ho fatto”: con queste parole, riportate nelle motivazioni della sentenza della Corte d’Appello che ha confermato in sostanza la condanna a 20 anni in primo grado, Adam Mada Kabobo, il ghanese che l’11 maggio 2013 ha ucciso a picconate tre persone in zona Niguarda, a Milano, ha motivato l’atrocità commessa.

Scrivono i giudici: “Kabobo assegna a se stesso il ruolo di colui che tiene conto di ciò che, secondo la narrazione delle ‘voci’, avveniva nei suoi territori di origine, e poi decide e si determina all’azione omicida. Prende a spunto ciò che le ‘vocì gli dicono e agisce in analogia a quanto gli narrano le ‘voci’ ma nel perseguimento dei suoi lucidi obiettivi”. Si legge ancora nelle motivazioni: “La relazione clinica che i periti instaurano con l’imputato fa emergere anche un’altra motivazione della condotta di Kabobo che è estranea rispetto a ciò che ‘le voci’ gli ‘suggerivano’ e che rende palese la sussistenza di una residua capacità del periziando a esercitare i poteri di conduzione e di autodeterminazione della propria azione, indirizzandola verso i fini che egli ha perseguito e operando al riparo dalle ‘contaminazioni’ psicotiche che lo assediano”.
I giudici concludono riportando il giudizio dei periti, secondo i quali l’atto omicida “ha costituito la perversa richiesta d’aiuto, in un mondo nel quale nessuno gli dava retta. Addirittura voleva essere catturato ‘così finiva tutto’, intendendo il freddo e le sofferenze causate dalle voci”. La sentenza d’appello, che corrisponde alla richiesta del sostituto procuratore generale, Carmen Manfredda, è del 20 gennaio di quest’anno.
GM