Lorenzo e quell’incontro segreto con i “padroni del mondo”

PETRA, JORDAN - OCTOBER 11: Italian Hip Hop singer Jovanotti delivers at a memorial event in honour of the late Italian tenor Luciano Pavarotti, whose portrait stands on an easel close by on October 11, 2008 in Petra, Jordan. A large crowd of international celebrities, including Princess Haya Bint al-Hussein of Jordan, Pavarotti's second wife Nicoletta Mantovani and British musician Sting (Gordon Sumner) gathered at the historical archaeological site to pay tribute to the artist. The event it due to be capped off tomorrow night with a memorial charity concert that will raise money for projects in Afghanistan by UNHCR and the UN World Food Programme. (Photo by Salah Malkawi/Getty Images)
(Salah Malkawi/Getty Images)

Verrebbe voglia di fare qualche domanda a Lorenzo Cherubini, alias Jovanotti, dopo aver ascoltato il suo recente intervento all’Università di Firenze. Un’ora buona di parole in apparenza senza un centro di gravità, un flusso di pensieri che sembravano casuali. Parla di tutto, come se avesse un pensiero su ogni cosa. Ma ci si accorge presto che è solo una riflessione appena accennata, un’intuizione vaga che non ha forma, non ancora. E forse mai l’avrà, perché Lorenzo sembra recalcitrante a qualsiasi idea espressa compiutamente. Un’idea trasparente, disposta a farsi comprendere, osservare e interrogare non verrà mai da Lorenzo. Il suo pensiero è come lui: ovunque e sfuggente. Si sofferma su tutto giusto il tempo di dire qualcosa e correre altrove. Nessuna struttura, anche perché costruire, teorizzare significa confrontarsi con se stessi, prendere atto del proprio sapere e talvolta giungere, umilmente, alla conclusione di non saperne abbastanza, di dover studiare e faticare ancora. Significa assumersi una responsabilità, legarsi con coerenza a quanto espresso, rivelare i propri valori senza nascondersi. Una gran fatica. E forse anche una perdita di tempo se non si ha la stoffa del pensatore, se l’abito del filosofo lo si può osservare solo attraverso la teca di un museo. Meglio le scorciatoie, allora, il parlare un po’ di tutto e lasciare agli altri la sensazione che forse tu sai, hai pensato, pensi, sei nel giusto e puoi dispensare consigli. Creare suggestioni. Il pensiero di Lorenzo dura il tempo di una canzone. Ha bisogno di ritmo, del contesto giusto, della frase ad effetto. Le scorciatoie si trovano sempre, si sa, e l’invito a parlare ai giovani di Firenze ne è la prova. Poteva essere un’intervista vera, un rivelarsi a cuore aperto come autore e uomo.

E’ stato invece un intervento surreale, senza capo né coda, verrebbe da dire, e pur senza mostrare la coda Lorenzo ha finito per mostrare la corda. E’ stato quando si è soffermato a raccontare un aneddoto, più per vanità che per necessità, ed è come inciampato su se stesso rivelando più di quanto avrebbe voluto. Ha detto la frase che forse non voleva dire. Ma l’aveva detta ormai: non era il testo di una canzone e non la poteva cancellare, quella frase, come si fa con una parola sbagliata. L’ha giustificata con un’altra, incauta anch’essa, che diceva più di quanto avrebbe voluto  – e dopo un’altra, e un’altra ancora. Ecco che il pensiero sfuggente è rimasto invischiato in se stesso, si è rivelato. Ed ha rivelato qualcosa di Lorenzo, l’uomo che sfugge, tradito dalla sua vanità, dalla sua voglia di dire: “Mi è successa una cosa lo scorso anno. Sono stato invitato ad un summit” e qui Lorenzo sta per dire “segreto” ma si ferma sul ciglio e usa un termine più blando “sono stato invitato ad un summit … privato molto molto esclusivo organizzato da una delle più grandi aziende del mondo … ora io non posso parlare liberamente di questo incontro perché era, come si dice, off the record, era un incontro a porte chiuse senza nemmeno una connessione internet … in questo summit c’erano le 80 persone più importanti del pianeta per quanto riguarda il futuro. E’ durato quattro giorni: c’erano premi nobel, amministratori delegati di grandi multinazionali, aziende farmaceutiche, attivisti per i diritti umani, femministe, c’era il capo della banca mondiale. Ma non c’era un politico, neanche uno. Perché? Perché non servono – continua Lorenzo – me l’hanno detto loro. In questo ambito la politica non è importante. Le cose non si decidono più a livello politico, la visione non è più politica. E’ qui che si decidono le cose. La politica si limita ad amministrare le scelte di altri”.

Un bene, un male? Qual è il pensiero di Cherubini di fronte a questo assunto? Qui Lorenzo cerca di districarsi e fuggire: “Questo è drammatico, non farò un balletto per festeggiare questa cosa, ma la situazione è questa”. Sembra dolersene Lorenzo, e sarebbe un buon messaggio per gli studenti: qualcosa di saggio, pur espresso con il solito linguaggio giovanilistico, pieno di termini come “svoltare” “un sacco” “tantissimo”. Potrebbe rivelarsi finalmente maturo Lorenzo, e sembra lo stia per diventare, ma si contraddice dopo un attimo, quando spiega perché la politica – che è o dovrebbe essere trasparenza – viene sostituita dal club dei pochi eletti: “La politica cerca consenso e, facendolo, sbaglia sempre. Se tu vuoi ottenere la benevolenza di qualcuno devi dargli una gratificazione immediata che è quasi sempre un errore. La politica dovrebbe avere una visione e non è più in grado di farlo, perché ormai ha solo degli obiettivi, passo dopo passo, per non scontentare nessuno. Ormai è andata in televisione per cercare il consenso …” Lorenzo qui sembra non rammaricarsi di una politica al tramonto: “Grazie la cielo ci sono altri che hanno delle visioni e si sostituiscono alla politica” e confessa, il candido Lorenzo: “Questa è la contemporaneità … ed ha degli aspetti meravigliosi: io dopo quattro giorni che ho sentito queste persone parlare sono uscito entusiasta del fatto che comunque le cose si possono fare …”

Lorenzo racconta così la fine del mondo che conosciamo agli studenti di Firenze, sostituito da un’organizzazione persone che si riuniscono in segreto, con una visione del futuro autoreferenziale, non compromissoria, persone che non si sporcano le mani con i piccoli affari. A questo pensano gli altri. La politica, indesiderata, rimane fuori dalla porta. Si muove su fili strattonati altrove. Il voto, il popolo, la rappresentatività sono cose obsolete, secondo Lorenzo e i suoi maestri di pensiero,  “padroni del mondo” che lo entusiasmano al punto che ne riporta il verbo in un’aula di Università.

Sembra non sapere questo, Lorenzo: la politica che nasce dal consenso e dai popoli  – anche la politica sporca, piccola, infetta –  sarà sempre meglio di una stanza dove si decide del mondo lasciando il mondo fuori. Sembra non capire, Lorenzo, tutto sorrisi ed esse sibilante,  che la “visione” corretta – “giusta” direbbe lui, cinquantenne che parla come il ventenne di trent’anni fa – la visione corretta, dicevamo, non è seppellire la politica ma riportarla allo slancio e alla capacità  originaria. Perché le tenebre della Storia siedono sempre nella sala d’aspetto delle oligarchie illuminate e, di solito, attendono poco. Attendono molto invece – e spesso invano –  le moltitudini che chiedo giustizia dopo che le oligarchie illuminate sono trascorse, lasciando  violenza, sfruttamento, omissione e povertà come lasciti della loro “visione”.

Verrebbe voglia di chiedere a Lorenzo se ha mai pensato che esiste  un legame tra gli 80 “illuminati” presenti all’incontro “segreto” e la loro ricchezza personale. Se, in fondo, la “visione” che lo ha tanto incantato, come il bambino di Collodi al luna park, non si riduca ad una sola parola: “soldi” – e ad un solo progetto: “più soldi”. Per chi? Forse Lorenzo potrà arrivarci:  rifletta, la sera. Non lo vede nessuno se riprende in mano i libri del liceo. Umilmente, senza quel residuo di vanità adolescenziale, fuori tempo massimo, che lo accompagna come un’ombra sotto il sole – un cattivo sole sembra, un sole per pochi eletti.

E a monte c’è un’altra domanda: cosa faceva Cherubini tra i padroni del mondo, quelli che parlano in segreto della loro “visione”?

Lorenzo sa che la domanda preme e se la fa da solo, in anticipo: “E tu cosa c’entravi fra quelle 80 persone vi domanderete?” Lorenzo (si) risponde così: “siccome questa cosa avveniva in Italia loro avevano piacere di avere un personaggio della cultura popolare avanzata che non rappresentasse la tradizione ma un percorso verso il futuro … ”e più tardi torna a dire “… mi comportavo un po’ da imbucato, ma evidentemente se ero lì un motivo c’era …”  forse perché anche io ho una visione, sembra sottintendere, quella di un “mondo che ha un aspetto magico e misterioso” come dice, quasi distrattamente, rispondendo ad una domanda. Forse Lorenzo non era lì per caso: elogia i benefici di una realtà  “frammentata” dove “non c’è una regola”. Un  “nuovo mondo”  grazie al quale, forse senza motivo, senza merito e senza grammatica, può entrare nell’aula di un’Università, alla presenza del sindaco di Firenze, e dare lezione di tutto e niente a dei ragazzi; un mondo dove le decisioni che contano si prendono in privato e dopo ci si pavoneggia in pubblico, improvvisandosi docente, con un pensiero frammentato e confuso. Un mondo capovolto e caotico con il quale Lorenzo sembra venuto a patti, e dove si trova a suo agio, perché nella confusione ci si può nascondere meglio. E il pensiero, che non c’è, sembra esistere finché il gioco regge. Un mondo capovolto che Lorenzo non sembra avere alcuna intenzione di rimettere in sesto.

Armando Del Bello