“In qualsiasi posto il peccato ti abbia trascinato, se ti affidi a Dio e lo cerchi non c’è luogo sufficientemente e remoto dove Lui non possa far luce e trarti in salvo” sembra dire Juan Manuel Cotelo il regista spagnolo autore di “Terra di Maria” e di “Dio esce allo scoperto” un film documentario, una testimonianza e una preghiera insieme, dove la toccante storia di Ruen Garcia, della sua lotta con sé stesso e la sua omosessualità si fa immagine di miseria e solitudine prima, ricerca e preghiera dopo, fino all’incontro meraviglioso e rivelatore con Dio. Un film dove la durezza della narrazione conduce passo dopo passo all’abraccio della misericordia e della salvezza. Il film è la cronaca reale di una vita nuova per Ruben, l’affermazione di un parte di sé ancora più profonda della sessualità, un luogo dove riconoscere Dio ed essere riconosciuto e amato da Lui.
Nonostante la distanza riusciamo a parlarne con Cotelo di tutto questo. Parli con lui e sembra di sfogliare un libro antico e profondo, pieno di umiltà e verità, un libro che sembra parlare a noi tutti, spronandoci a proseguire il cammino, senza paura
D. La storia di Ruben Garcia viene rappresentata come la storia di una duplice scoperta: quella della propria sessualità e quella della propria fede. Lei vuole suggerire che in certe esperienze di vita la scoperta della propria finitezza, del peccato e la caduta in esso è quasi un passaggio obbligato per giungere a Dio?
R. “Qualcuno chiese a Benedetto XVI: “Quante strade ci sono per arrivare a Dio?” e il Papa rispose: “Tante come le persone.” Alcuni scoprono Dio durante l’infanzia, altri in gioventù, altri nella vecchiaia. Alcuni nella malattia, altri nella salute. Alcuni in una vita di intensa preghiera, altri mentre perseguitano i cristiani, come San Paolo. E così, potremmo elencare tutte le possibili realtà umane, come vie di incontro con Dio. E’ chiaro che Dio cerca ogni persona senza eccezioni, nelle circostanze concrete in cui ognuno si trova, senza poter generalizzare”
D. La tesi su cui si basa la narrazione del “Dio nascosto” appare misericordiosa e durissima nello stesso tempo. Sembra dire “accetta te stesso e la tua sessualità” ma nello stesso momento “rinuncia ad essa per amore di te stesso e di Dio”. Non teme che questo duplice invito contenga una prospettiva che può essere percepita come una contraddizione insanabile? Se devo accettare me stesso, è la replica più prevedibile, questo comporta l’accettazione della mia sessualità, senza che mi debba sentire in colpa per essa. Perché rinunciare ad essa, allora?
R. “Gesù Cristo non è un Dio nascosto bensì un Dio carnale, vicino, umano al 100% e che parla in modo molto chiaro, perché chiunque possa capire, soprattutto le persone semplici, che non sono complicate mentalmente. Egli ci mostra che l’amore di Dio è universale, senza eccezioni, e che ha una particolare predilezione per i malati e per i peccatori: “Non sono venuto per i sani, ma per i malati; non sono venuto per i giusti, ma per i peccatori.” Il suo amore è tale, che libera i malati dalla malattia e i peccatori dal loro peccato. Il suo amore non consiste in un patto sterile e sentimentale con il peccato né con la malattia, ma si manifesta nella guarigione reale che libera ogni persona. L’esempio più chiaro è il dialogo con l’adultera, che alcuni che si consideravano “giusti” volevano lapidare. Gesù le dice: “Io non ti condanno, va’ in pace e non peccare più”. Non disse: “Ti voglio molto bene, continua a peccare, non puoi evitarlo.” Dobbiamo accettare che siamo amati così come siamo, malati e peccatori. Ma non conformiamoci né con la nostra malattia né con il nostro peccato: chiediamo a Gesù Cristo che ci guarisca e che ci perdoni. Non rinunciamo a quella libertà che dona Gesù, a una nuova vita, al completo rinnovamento di ogni persona. Questo si riflette su ogni aspetto di ciascuna persona, inclusa la sessualità. Si tratta di una guarigione totale, inclusi i desideri, i ricordi, il corpo, la mente e l’anima”
D. Il documentario pone alla radice di molte storie di omosessualità un nodo profondo di non accettazione da parte dei genitori, del padre, in particolare riguardo ai figli. Questa tesi le sembra possa spiegare il fenomeno dell’omosessualità nel suo complesso? In altre parole se ogni genitore sapesse comprendere e amare correttamente il proprio figlio e la propria figlia, e trasmettere questo amore questo comporterebbe la scomparsa dell’omosessualità?
R. “Il documentario non intende analizzare le radici dell’omosessualità. Neanche con il caso del protagonista, Ruben. Non è uno studio sociologico, psicologico, antropologico o storico sull’omosessualità. E’ il racconto semplice e onesto di una persona reale che mette a nudo la sua anima davanti a una cinepresa, per mostrarci la sua biografia. L’unica conclusione generale che forse possiamo trarre dalla storia di Ruben, è questa: Dio non fa una selezione del personale. Ama tutti, cerca tutti, perdona tutti, aspetta tutti. Dire che la storia di Ruben è la storia di tutti coloro che sentono un’attrazione omosessuale è una generalizzazione così superficiale come dire che è la storia di tutti i messicani, dal momento che Ruben è messicano”.
D. Le propone l’astinenza come “cura” dell’omosessualità e va oltre, proponendo di vivere la propria omosessualità come una prova da superare in un cammino di santità. Ritiene possibile un omosessuale che non rinunci al proprio peccato e tuttavia diventi un santo per altre ragioni essendo, spesso, i santi anche peccatori?
R.” Io non propongo niente nel film, tranne l’affetto e il rispetto per tutte le persone, che deriva dall’affetto e dal rispetto di Dio verso ognuno di noi. Qualsiasi altra proposta diversa da questa è immaginata. Inoltre, non ritengo che “molte volte” i santi siano peccatori, ma SEMPRE, tranne in due casi: Gesù Cristo e la Vergine Maria. La santità consiste, precisamente, nell’azione di Dio nell’anima peccatrice. La condizione per essere santi non è nascere santi, ma accettare l’amore di Dio, permettendo a Lui di trasformare la nostra anima, vincendo il peccato con il Suo potere, non con il nostro. Ogni peccato danneggia la nostra stessa natura, la restringe, ci rende schiavi. L’unico nemico da sconfiggere si chiama “peccato”. E per questo, niente e nessuno come Gesù Cristo è in grado di vincere il peccato individuale con la Sua efficacia, con il Suo amore, con le Sue ricette messe in pratica. Nessuno può dire di aver applicato nella sua vita le ricette di Gesù Cristo e che la cosa sia andata male. Non una persona, in 20 secoli. La ricetta è perfetta, universale e gratuita”.
D. Non teme che la proposta di un’astinenza perpetua possa rappresentare una prova troppo radicale e far incorrere la creatura in cadute e fallimenti continui, con il rischio di perderla definitivamente?
R. “Il mio giogo è dolce, il mio carico è leggero”, dice Gesù. A chiunque di noi può sembrare impossibile vincere le tentazioni dell’orgoglio, dell’avarizia, della rabbia, della lussuria, dell’accidia, dell’invidia, della gola. Ognuno ha la sua croce, un punto debole che fatica a superare. Tuttavia, con l’aiuto di Dio, TUTTO E’ POSSIBILE, SENZA ECCEZIONI. Può sembrare impossibile, a volte, poter perdonare qualcuno. Tuttavia, con l’aiuto di Dio, si può perdonare tutto. Può sembrare impossibile dominare un temperamento violento e, tuttavia, con l’aiuto di Dio, si può. Può sembrare impossibile avere uno sguardo limpido verso sé stessi e verso gli altri e, tuttavia, con l’aiuto di Dio, si può. Nulla è impossibile a Dio, nulla è impossibile con Dio. Ciò che è impossibile è essere santi con le proprie forze. Non c’è stata una sola persona nel corso della storia che ci sia riuscita.
D. Il documentario sembra mettere da parte una riflessione ulteriore sul fenomeno dell’omosessualità. Sì, ci sono le storie personali che possono spiegare l’insorgere di una tendenza sessuale, ma si può andare oltre. Lei ha mai riflettuto sul perché dell’omosessualità in una dimensione più ampia, filosofica?
R. “No, in realtà non ci ho mai pensato, perché non sono un filosofo. Sono un narratore che racconta storie che valgano la pena di essere raccontate. Mi limito a condividere le meravigliose storie che mi si presentano, perché personalmente mi aiutano, mi incoraggiano, mi danno speranza. Penso che se aiutano me, aiuteranno anche gli altri. Ma lascio il lavoro del filosofare ai filosofi”.
D. Come porsi da cristiani di fronte a questo enigma? A suo avviso è tutto riconducibile ad un problema della formazione affettiva dell’individuo? E se non è così, come disporsi verso di essa? E’ una malattia del corpo e dell’anima? E perché il Creatore la permette?
R. “Il modo di comportarsi di un cristiano è molto chiaro: con amore, con amore, con amore, con amore e… con amore. Non siamo Dio, non sappiamo tutto, la realtà ci supera, dobbiamo avere l’umiltà di accettare la grandezza dei misteri, che ci superano. Tuttavia, tutti noi possiamo amare, comprendendo o non comprendendo le cose. Posso amare essendo brillante o stupido, essendo sano o malato, essendo povero o ricco, essendo grasso o magro, giovane o anziano. Sempre e in ogni circostanza, posso amare. Posso amare chi non la pensa come me, chi non vive come me, chi non crede come me, chi mi insulta, chi mi ignora… Posso amare sempre, tutti. Inoltre, Gesù ci ha detto che Egli è in ogni persona, in tutti. Quando amo qualcuno… Gesù è in quella persona, in modo ineffabile. “Ogni volta che avete dato un bicchiere d’acqua a un assetato, lo avete dato a me.” Questo è il mio obiettivo, quello di ogni cristiano, di ogni uomo: amare tutti, sempre. Se amiamo di più, i dubbi teorici peseranno poco, perderanno d’importanza. Per amare non è necessario comprendere”.
D. Lei ha fatto riferimento ad un quadro di Rembrandt, “Il figliol prodigo”. Si potrebbe dire che, nella prospettiva del documentario, Ruben è questo figlio e Gesù il Padre che attende di vederlo tornare? Se è così, il fratello che si lamenta della misericordia del Padre chi è? Noi tutti
R. “Ognuno deve porsi davanti a Dio, in un esame intimo e sincero, che includa l’esame di come vediamo gli altri. A tutti noi Dio dice “tutto ciò che è mio, è tuo.” Siamo eredi di tutti i tesori del Cielo… se vogliamo riceverli, perché Dio non ci costringe a nulla. Il banchetto della nostra felicità ci è sempre offerto, con l’unica condizione di volerci sedere a tavola e mangiare. Non possiamo lamentarci di Dio, se non Gli permettiamo di servirci. La condizione per godere di Dio è l’umiltà: Signore, accetto che tu mi serva. Accetto il tuo amore. Servimi, ho bisogno di te. Ho fame, ho sete, e niente di ciò che provo mi sazia. Puoi saziare i miei desideri di amore, di senso, di bellezza, di bontà? Mi avvicino a te, mi avvicino alla tua mensa, senza arroganza e senza timore. Sei mio Padre, sono tuo figlio, servimi. Ti prego, non te lo sto esigendo, perché chi sono io per esigere da Te, se da Te ho ricevuto tutto? A volte ci lamentiamo di Dio… perché ci rivolgiamo a Lui urlando, da lontano, senza avvicinarci a Lui. Forse questo è successo anche al figlio della parabola: era invidioso di suo fratello cui il Padre aveva servito un banchetto, perché lui invece non ebbe l’umiltà di lasciarsi servire da suo Padre”.
Armando Del Bello