Putin: “Portatemi il Califfo dell’Isis vivo o morto”

Russia's president Vladimir Putin gives a press conference after a meeting with Turkish Prime minister in Istanbul on December 3, 2012, as part of Putin's trip focused on resolving sharp differences over the near 21-month conflict raging in Syria. AFP PHOTO/BULENT KILIC (Photo credit should read BULENT KILIC/AFP/Getty Images)
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Portare vivo o morto a Mosca il leader dello Stato Islamico  Abu Bakr al Baghdadi, meglio noto come “il Califfo” .  Secondo l’agenzia stampa iraniana “Tansim News“, che cita fonti interne del Cremlino sarebbe questo l’ordine impartito dal presidente Vladimir Putin ai generali russi che dirigono la guerra lanciata contro l’organizzazione terroristica in Siria. Il capo di Stato russo ha chiesto “al comando che ha il compito di gestire la missione contro l’Isis di portare vivi i leader dell’organizzazione, in primis il Califfo. Nel caso non fosse possibile prenderli vivi, avrebbe chiesto di portare in Russia “almeno le salme.” Per l’agenzia iraniana, la richiesta di Putin di portare al Baghdadi a Mosca “mira a mettere in imbarazzo gli Stati Uniti ed evidenziare il fallimento della Coalizione internazionale” che gli Usa guidano da oltre un anno proprio contro l’organizzazione che fa capo ad al Baghdadi. Secondo la stessa agenzia  il portavoce del ministero della Difesa russa, Igor Konashinkov, avrebbe dichiarato: “le forze aeree russe ora si stanno dirigendo direttamente alla principale roccaforte dell’organizzazione per colpire la città di Raqqa principale base dell’Isis”. Indiscrezioni a parte la Russia ha mostrato l’efficacia delle armi letali di precisione contro le posizioni dello “Stato Islamico” in Siria, a partire dal lancio dei missili da crociera dalle navi della Flotta russa del Mar Caspio: un successo del presidente Vladimir Putin. Il Generale Igor Konashenkov, del Ministero della Difesa russo, ha confermato: “I razzi lanciati dai mezzi navali hanno trovato i propri bersagli”. Sebbene il presidente USA Barack Obama abbia frettolosamente definito  “inconcludente” l’operazione della Russia in Siria, il lancio dei “Kaliber” e la capacità di pianificazione delle operazioni dimostra “la crescente forza” delle armi russe;  l’assiduità nel colpire gli obiettivi stanno mettendo in crisi l’amministrazione Obama e la già traballante leadership statunitense nello scacchiere mediorientale.

L’Afghanistan, il nuovo terreno di scontro Russia – Usa 

Le manovre del leader russo ora si spostano anche in Asia Centrale, in particolare l’Afghanistan, territorio di una guerra per procura con gli Usa ai tempi dell’invasione negli Anni ’80, La Repubblica Islamica è tornata tra gli obiettivi di  Mosca. La conferma c’è stata venerdì scorso, durante un vertice con i presidenti della Csi  – la Comunità degli Stati indipendenti, sorta dalle ceneri dell’Urss. Nell’occasione Putin ha chiaramente ammonito gli alleati del rischio di un’espansione della minaccia terroristica in Asia Centrale dall’Afghanistan, dove la situazione è «vicina alla criticità».
Ha dunque  annunciato la creazione di una task force comune per difendere i confini  da possibili situazioni di crisi. Con questa mossa, Mosca potrebbe stanziare truppe russe, nominalmente parte di una forza militare collettiva, sui confini di Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan contro il turbolento Afghanistan. Il Cremlino afferma di voler contenere l’islamismo militante, ma secondo molti osservatori la mossa rientra in una strategia a largo spettro volta a riaffermare la Russia come una potenza globale. Per Mosca, la decisione della Casa Bianca di sospendere il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, con l’immediata minaccia talebana di una ‘guerra totale’ contro bersagli Usa «è un’altra evidente testimonianza del completo fallimento della campagna militare durata 14 anni». Per questo ora la Russia interviene direttamente, rivendicando il suo ruolo nell’Asia Centrale e in aperta concorrenza con Washington. La  risposta dell’amministrazione Usa non si è fatta attendere. Il presidente Barack Obama ha annunciato quasi in simultanea  che le forze Usa resteranno in Afghanistan per la maggior parte del 2016. Ufficialmente la  decisione di rallentare il ritiro degli attuali 9.800 militari statunitensi è stata presa dopo mesi di consultazioni con il presidente dell’Afghanistan, Ashraf Ghani, il chief executive officer, Abdullah Abdullah, funzionari dell’amministrazione Usa, responsabili della sicurezza nazionale e vertici militari. Ma un ruolo determinante nella decisione sembra lo abbia avuto proprio lo “zar” Putin e lo straordinario dinamismo mostrato nel crocevia Isis,  nonostante l’isolamento e la pressione che  l’asse Ue – Usa sulla crisi in Ucraina sembrava aver prodotto sul Cremlino.

Armando Del Bello