
Era passato piuttosto sotto silenzio, ma ora che la notizia è uscita sta destando parecchie polemiche. Quello che c’è scritto nel documento del Fatf (Financial action task force) inserito nelle cartelline dei partecipanti al recente G20 per spiegare i vari canali di finanziamento ormai accertati dello Stato Islamico è effettivamente qualcosa di sconcertante. Nel documento infatti si può leggere: “Su un conto di una importante banca del Nord Italia aperto da una Onlus per attività di carità fra cui l’adozione a distanza in Siria, sono affluiti versamenti cash e bonifici bancari – la maggiore parte per piccoli importi, inviati da migliaia di persone fisiche e talvolta giuridiche italiane ed europee. Una volta accreditati quei fondi, sono stati inviati in Turchia, dove avrebbero dovuto essere ritirati e impiegati per il loro legittimo utilizzo. La maggiore parte dei versamenti infatti portavano come causale “adozione”. Le indagini successive hanno individuato fra i vari versamenti anche quelli effettuati dall’uomo che poi ha avuto la disponibilità di tutti quei fondi: un membro di un gruppo radicale costituito nel Nord Italia per reclutare combattenti radicali. Secondo l’inchiesta finanziaria compiuta l’uomo, che successivamente sarebbe morto in un combattimento in Siria, aveva utilizzato quella Onlus come mezzo insospettabile di trasferimento fondi per finanziare la sua organizzazione terroristica”.
Dunque mentre migliaia di italiani pensavano di fare beneficenza per adozioni a distanza di bambini siriani vittime della guerra in realtà stavano a loro insaputa finanziando lo Stato Islamico. Il sistema, va detto, non è un’esclusiva italiana e pare essere uno strumento di frode molto diffuso in tutta Europa tanto da diventare una delle principali fonti di sostentamento per l’Isis insieme alla gestione e al commercio sottobanco delle riserve di petrolio e gas. L’inchiesta scaturita da queste rivelazioni sta portando alla luce un mondo davvero immenso fatto da Onlus finte che raccolgono fondi per fint iscopi benefici, ma che in realtà sono più o meno direttamente collegate ai terroristi jihadisti. Il modus operandi non è uniforme così come varia il percorso che i soldi raccolti fanno prima di arrivare nelle mani dell’Isis. Quello che rimane è la consapevolezza che ci vorrebbero molti più controlli su queste associazioni benefiche; un giro di vite che a quanto pare in Italia non è ancora stato fatto, proprio come sottolineato dal governo americano in un recente rapporto: “L’Italia ha numerose debolezze che rendono il suo sistema assai permeabile dagli abusi di protagonisti del crimine. Per esempio l’Italia non obbliga le Onlus come avviene in molti altri Paesi a inviare rapporti immediati su transazioni sospette come avviene per le società private in base alla legge antiriciclaggio italiana. Non solo, ma l’Italia in aggiunta non distribuisce di routine alle proprie istituzioni finanziarie la lista aggiornata compilata dalle Nazioni Unite dei terroristi e delle organizzazioni al bando”.
F.B.