
Il decreto “Sblocca Italia” preparato dal governo Renzi conteneva il seguente passaggio in cui si riconosceva “il carattere strategico delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, delineando quindi procedure chiare ma commisurate alla natura di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità”. Tradotto in termini meno tecnici si trattava di un via libera alle trivellazioni in Italia e in particolare nelle regioni del Sud. La reazione è stata da più parti indignata ed immediata. Quasi subito è partita la proposta di alcuni referendum per abrogare quella legge. Tra i primi firmatari alcuni consigli regionali, ma anche diversi gruppi politici come il Movimento 5 Stelle, la Lega Nord e parti del Pd e di Froza Italia. Insomma un consenso trasversale sulla questione petrolio che ha evidentemente messo un po’ di paura a Matteo Renzi.
Il premier vorrebbe evitare che si arrivasse alla consultazione popolare su un tema così indigesto a gran parte della cittadinanza e così, dopo che la Cassazione ha dato il suo ok ai sei quesiti referendari, ha dato mandato al ministero dello Sviluppo Economico, guidato da Federica Guidi e al ministero dell’Ambiente di Gian Luca Galletti di studiare il caso. L’obiettivo è quello di “aggiustare” la legge e accontentare in larga parte le richieste del comitato “No Triv”. In particolare la richiesta che Renzi ha fatto alla Guidi è stata, come si legge sull’Huffington Post, quella di sollecitare “una riflessione del governo sul tema delle fonti energetiche attraverso una revisione delle norme attualmente in vigore che superi gli elementi di divisione e incomprensione, contemperando le esigenze relative alle strategie energetiche nazionali e la salvaguardia delle risorse ambientali”.
Insomma si cerca di trattare per non arrivare ad un muro contro muro e soprattutto al vero e proprio referendum che, se convalidato a gennaio dalla Consulta, diventerebbe realtà nel giro di pochi mesi.
F.B.
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