
In carcere da qualche giorno, dopo la sentenza definitiva di condanna arrivata dalla Cassazione, Alberto Stasi, che secondo la giustizia è colpevole dell’omicidio della sua fidanzata, Chiara Poggi, lancia attraverso i suoi avvocati un appello proprio alla famiglia della ragazza. Rileva il legale, Giuseppe Colli: “Alla famiglia Poggi, di cui ho sempre rispettato l’enorme dolore, suggerirei, molto sommessamente, di non accontentarsi di una giustizia qualsiasi”.
“Troppi errori, questa non è giustizia”, sentenzia il legale, secondo il quale “Stasi è stato condannato in base a errori, imprecisioni, illogicità e trascuratezza degli elementi probatori passati addirittura in giudicato”. Colli afferma deciso: “Ho la certezza granitica, assoluta, della estraneità di Alberto Stasi e non basterà quello che scriverà la Suprema Corte nelle motivazioni della sentenza a farmi cambiare idea. Tutte le persone che conoscono Alberto sono concordi: non ci credono, non ci crederanno mai e lo considereranno sempre innocente e vittima di una giustizia giacobina, una giustizia di piazza che ha portato in carcere un innocente”.
Di errori avevano già parlato i legali di Stasi nel loro ricorso contro la sentenza d’appello, che “si appalesa gravemente viziata, oltre che costellata da macroscopiche violazioni sia dei diritti fondamentali dell’imputato che della delle processuale penali”. La sensazione è che gli avvocati del giovane commercialista possano lavorare per ottenere una revisione del processo, circostanza che non viene smentita da Colli: “Abbiamo lavorato e continuiamo a lavorare per cercare la verità. In questo momento non trascuriamo niente. Non ci fermiamo qui”.
Le perplessità della difesa
Il settimanale ‘Giallo’ ha provato a riassumere quelle che sono le perplessità della difesa di Stasi, a partire dal fatto che sulla scena del delitto c’erano impronte di un tipo di scarpe non in possesso del giovane commercialista. Inoltre, con tutto il sangue che c’era in casa era impossibile non sporcarsi le suole. Poi ancora sui pedali della bici di Stasi era presente il dna di Chiara Poggi ma non il sangue e i graffi sul braccio del ragazzo sarebbero successivi ai giorni dell’omicidio.
Per la difesa non sarebbe una prova l’impronta digitale di Stasi sul dispenser del sapone in casa Poggi perché il ragazzo quella casa la frequentava. Poi sotto le unghie della Poggi fu trovato del dna che non apparteneva a Stasi, mentre nella mano di Chiara c’era un pelo o un capello. I giudici hanno chiesto di riesaminarlo ma le analisi non hanno dato alcun esito. Infine la certezza che il ragazzo ha acceso il proprio pc alle 9.35 del mattino e da quel momento avrebbe un alibi.
Prove granitiche
Ma uno degli inquirenti, chiamato in causa dal quotidiano ‘Il Giorno’, sostiene che le prove non lasciano dubbi sulla colpevolezza di Stasi: “Tutte le ipotesi alternative sono state valutate prima di essere scartate. L’impianto accusatorio uscito dalle prime fasi dell’inchiesta non è mai stato smentito, neppure dalle sentenze di assoluzione. Una cosa che nell’opinione pubblica hanno capito in pochi. Il quadro è rimasto”.
Prosegue l’investigatore: “Le indagini successive lo hanno sostenuto e confermato, arricchendolo di nuovi e importanti riscontri. Tutti andavano in una sola direzione: la colpevolezza di Stasi, unico responsabile dell’uccisione di Chiara Poggi. A distanza di anni tutto questo è stato affermato, senza possibilità di dubbi, dal pronunciamento della Cassazione”.
GM