Così la donna del boss terrorizzava la piana di Gioia Tauro

Aurora Spanò (foto dal web)
Aurora Spanò (foto dal web)

La moglie del boss si vede infliggere una pena più dura del marito, perché considerata più pericolosa: lo ha stabilito il Tribunale di Palmi, che ha condannato a 25 anni di carcere Aurora Spanò e a 18 anni il marito Giulio Bellocco. La donna è stata dunque considerata mente e coordinatrice della cosca Bellocco a San Ferdinando, nella Piana di Gioia Tauro. Insieme a moglie e marito condannati a pene inferiori – 3 anni e sei mesi di reclusione – Giuseppe Stucci e Giuseppe Spanò, rispettivamente il comandante e l’agente della polizia municipale che avrebbero favorito il clan.

Tante le accuse contro la donna, arrestata dopo sette mesi di latitanza: avrebbe prestato a strozzo 600mila euro a due imprenditori della zona, per poi impossessarsi di uno stabile di proprietà della famiglia dei creditori, i quali avevano anche provato a scappare al Nord, ma erano stati raggiunti e malmenati. La Spanò ha commesso anche violenze in carcere nei confronti di altre detenute. Secondo la testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola, “Giulio Bellocco e la moglie Spanò Aurora abitano a San Ferdinando e si può dire che il paese sia di loro proprietà, in quanto sono a conoscenza del fatto che, per qualsiasi investimento, anche per affittare una casa, è necessario chiedere l’autorizzazione a loro”.

Una delle vittime dello strozzinaggio della coppia, inoltre, aveva accusato direttamente la donna: “Mi disse che ci avrebbe buttato tutti fuori di casa e suo figlio aggiunse che, se non avessimo subito consegnato loro gli appartamenti, avrebbero ucciso i miei fratelli che abitano al Nord. Ho molta paura sia per la mia incolumità che per quella dei miei familiari”. Infine, in alcune memorie della Spanò, pubblicate da Mondadori insieme alle testimonianze di altri carcerati si legge: “Il mio uomo e la sua famiglia, undici fratelli, erano importanti e rispettati in paese e in tutta la provincia, se non in tutta la Calabria. Le persone si rivolgevano a loro per avere quella giustizia che spesso la legge non riusciva a garantire, per questo motivo nei rapporti delle forze dell’ordine apparivano come dei fuorilegge, perseguiti e accusati di tutto ciò che accadeva in paese, anche quando non c’entravano nulla. A causa di queste dicerie, mio marito fu ricercato attivamente da tutte le forze di polizia e costretto alla latitanza… Qual era l’ambiente nel quale sono vissuta? E come potevo, io, sottrarmi a queste regole?”.

GM