
“Fosse per me, lo abolirei. C’è l’idea che si debba per forza fare festa. Basta vedere la pacchianeria dei regali, la frenesia degli acquisti nei supermarket. Non la vedo come una cosa naturale”, questa l’opinione dello scrittore e poeta di montagna, Mauro Corona sulle imminenti festività natalizie. Dice l’autore di ‘Come sasso nella corrente’ al Quotidiano Nazionale: “Sarebbe la festa di Gesù che nasce, per chi ci crede. Una giornata di riposo, di attenzione verso i propri cari. A Natale ci sentiamo tutti buoni… Ma io ho scritto una frase, parafrasando una canzone di De Gregori: la guerra siamo noi. Diciamocelo chiaro: siamo invidiosi, siamo rancorosi. La guerra la vediamo nell’altro. Ecco perché il Natale è fasullo”.
Corona rileva che “l’ipocrisia della bontà, il chiudersi nel proprio bozzolo familiare, possono essere interpretati anche come segni di fragilità, un modo di aggrapparsi a qualcosa pur di sostenersi”. Insomma “il Natale non mi piace proprio” e “l’ho sempre passato coi barboni e con la povera gente. Fino all’anno scorso lo passavo con Icio, il mio carissimo amico, più giovane di me, il protagonista dei miei libri. Icio è mancato nell’agosto scorso, con i suoi problemi con l’alcol e con la vita che gli aveva sparato alle spalle. Andavo con lui, poi c’era il Silvio, il Carlo, l’altro Carlo, cioè gente di margine, non per questo meno intelligente o sensibile. Era gente abbandonata e quindi io stavo con loro”.
“Io a Natale non sto mai nella famiglia” – spiega ancora lo scrittore – “Le famiglie sono luoghi impenetrabili, sono fortezze chiuse. Anche quando avevo i figli piccoli, che era doveroso fare qualcosa con loro, io me ne andavo, perché non stavo bene là dove non poteva entrare il povero o colui che non ha nulla. Certo, ci sono anche persone che invitano a casa dei barboni, della povera gente. Sono quelli che ancora mi fanno sperare. Ma io non vedo l’ora che passi, il Natale”.
Il Natale che vorrei
Ecco come Corona vorrebbe questa festa: “Un Natale povero, creativo, condiviso. Allo stesso modo del Capodanno nelle piazze. Perché non cominciamo a fare il Natale fuori dalle case? Si può andare nelle piazze e dire: 2015 anni fa nasceva il Gesù, festeggiamo, beviamo un bicchiere”. Più forte, per lo scrittore, è il senso del Capodanno: “Ogni anno c’è una tesserina o due o tre del mosaico dei nostri amici che se ne va, che si stacca, e quindi il Capodanno è una cosa tragica e che fa riflettere. Io mi dico: cosa succederà alla fine del prossimo anno? Ci sarò ancora, io?”.
GM