
Vecchie amicizie, musica italiana, presunti ‘rivali’ e simboli nazionali. Questi i temi toccati dal Maestro Riccardo Muti che a Natale sarà a Forlì, vent’anni dopo lo storico concerto con Luciano Pavarotti, tenuto per salvare una comunità di recupero a rischio chiusura. Muti ha ricordato che la sua amicizia con Pavarotti iniziò con una lite, poi, sentendo nominare la Scala ha dichiarato “Non intendo fare polemiche. È tutto troppo cambiato. Oggi il direttore d’orchestra fa una cosa, il regista un’altra. Il rapporto è totalmente scollato, la musica è piegata alle invenzioni, ai capricci, alle interpretazioni personali, sino al limite dell’assurdità”. Chicago, i Berliner, i Wiener sono il lavoro del Maestro che segue comunque i giovani dell’orchestra intitolata a Cherubini “chiederò a Mattarella e a Renzi di aiutarmi a riportarne in Italia da Parigi le ossa, è già pronto per lui un loculo a Santa Croce”. Su Bocelli e Allevi, ha sorvolato elegantemente: “Ognuno deve fare il suo mestiere. Io ho molto rispetto per le canzonette, per il pop. Ma è appunto un altro mestiere”. Su Claudio Abbado, invece, Muti ha spiegato al Corriere della sera che “I gazzettieri della musica si sono inventati una nostra rivalità, come fossimo Coppi e Bartali. Nulla di più falso. Lui mi stimava, io lo stimavo. Non ci frequentavamo perché siamo di due generazioni diverse: quando io nei primi Anni 60 studiavo composizione a Milano lui già dirigeva”. Molto forti, poi le affermazioni sull’identità nazionale: “Noi dobbiamo difendere la nostra identità. Sono per l’incontro, ma ogni elemento che turbi e disturbi la nostra identità non è benvenuto. Dobbiamo rivendicare il rispetto assoluto per i nostri simboli: il crocefisso, il presepe. Per il nostro modo di vita. E anche per le piccole cose, come i profumi. Ricordo la prima volta che diressi al Bellini. Era il 1966, e Catania era piena del profumo delle zagare; oggi senti solo quello del kebab. All’Italia devo tutto. In particolare devo tutto al Sud”. E al Sud e a Napoli, Muti riserva un pensiero malinconico: “Il Sud in cui sono cresciuto credeva nella severità del lavoro. I maestri erano durissimi. In prima media il professore di latino ci dava del lei. Per un ablativo confuso con un nominativo – «pluit aqua» – mi prese per un orecchio, se ci ripenso sento ancora dolore. Oggi lo arresterebbero. Non dico abbia fatto bene, però insomma sono cresciuto senza alcun complesso. Ora Napoli è degradata. Da anni aspetto un riscatto, una ripresa, l’orgoglio di un’appartenenza a una grande terra che non deve piangere su se stessa, deve ritrovare le immense risorse che possiede”.
L. B.