
Sono giorni duri quelli di Alberto Stasi in carcere dal 12 dicembre dove dovrà scontare la pena di 16 anni per aver ucciso la fidanzata Chiara Poggi. Un’accusa che gli sta stretta così come la vita in carcere dove ha appena trascorso il suo primo Natale. Dietro le sbarre il tempo passa lentamente e Alberto ne approfitta per mettere nero su bianco tutta la sua rabbia. “Non è facile per un innocente che attendeva i giorni della sentenza con la speranza di ritornare libero, entrare in carcere. Sto cercando di inserirmi nella realtà carceraria. Il lavoro svolto da educatori, volontari e direzione penitenziaria è encomiabile. La vita di un detenuto non è solo una condizione fisica, ma è anche (e soprattutto) mentale: il corpo può essere ristretto, la mente no. Non mi sento un detenuto. Mi sento un prigioniero”, scrive nella lettera al Quotidiano Nazionale. Il suo sfogo continua arrivando a paragonare la sua situazione ad altri casi in cui i giornali e i media hanno condizionato le sentenze dei giudici. “Io come Sacco, Vanzetti e Tortora», dice, parlando di “perniciosa spettacolarizzazione”, citando il commento del procuratore generale in Cassazione: “I fatti e le carte hanno sempre provato la mia innocenza e le nuove perizie fatte l’anno scorso avevano rafforzato questa verità”, prosegue. “Questo era il processo; io ho sempre saputo di essere innocente. Non nascondo di avere temuto l’assurdo epilogo che oggi sto vivendo, visto l’incomprensibile iter processuale che ho dovuto vivere”. La riflessione del detenuto si conclude con grande disfatta nei confronti di un sistema, di un paese che l’ha deluso. “Questi otto anni — conclude — mi hanno lasciato moltissime cose che mi porterò sempre dentro: la perdita di Chiara, con cui avrei voluto una vita insieme, la morte di mio padre, che è sempre stato al mio fianco, le tante difficoltà e ingiustizie, non ultimo l’ allontanamento da mia mamma, che ora si ritrova da sola. Però in questi giorni tra tutti i miei pensieri ne prevale uno: un forte dubbio di non vivere in uno Stato di diritto”.
Roberta Garofalo