La Passione di Gesù Cristo osservata con lo sguardo di Mel Gibson: ci siamo ritrovati dinanzi questo film per l’ennesima volta e ancora si ha l’impressione che le sue immagini – la rappresentazione che esse dischiudono, fotogramma dopo fotogramma – contengano qualcosa di ineguagliabile. Sono un approdo, un mistero che ci insegue dopo essere stato a lungo cercato. E’ un film spietato nella sua precisione: è un trattato di medicina legale, un rude e concreto inventario di crudeltà che riesce a schiudersi in attimi di ineffabile dolcezza, a tratti. E’ un dialogo di amore e dolore che lascia sfiniti mentre si cerca, presi da uno sgomento crescente, dentro il senso di quello strazio. E’ una fatica fisica vederlo. Si sale e non è suggestione: si sente il peso di essere testimoni prima e pavidi discepoli dopo. Ma nonostante questo e per qualche misericordiosa ragione si diviene, pur “nell’infinita limitatezza”, indegnamente partecipi di quella croce. Diventiamo schegge di legno dove è stato effigiato, nel sangue, un martirio dal significato immane. Diventiamo spine. Siamo folla, occhi che osservano, un percorso sul selciato dove noi, con il cuore duro come pietra, sentiamo il passo di chi ha portato e porta il nostro peso, la croce. Veniamo toccati dal sangue. E’ un film rosso, la Passione, un rosso che cambia per sempre l’intima percezione di quel colore. Nulla è tiepido nelle sue immagini. Niente è compromissorio. Ma c’è qualcosa che sconvolge oltre la crudezza e può forse spiegare l’insuperabilità, per significato e immagine, di quanto osserviamo: è la preesistenza dell’Uomo rappresentato, pur nella sua contingente vulnerabilità. E’ il suo essere eternamente presente e nostro prossimo, concreto e tangibile in ogni attimo. E’ il suo essere una meta, un porto, una dimora tranquilla: per questo Egli rappresenta non il passato ma l’avvenire: immagine dopo immagine non si ha l’impressione di osservare la rievocazione dettagliata di quanto accaduto ma di quello che accade, ora, e accadrà in ogni momento fino a quando gli attimi si ricongiungeranno con l’eternità.
E c’è Maria, la madre: umanamente sgomenta dinanzi al Mistero ma capace di accompagnarlo ed essere partecipe di esso fino alle estreme conseguenze, dopo averlo protetto e meditato in sé. Il suo dolore silenzioso, enorme, passa da quegli occhi e quel cuore e devasta il nostro. Siamo discepoli sconvolti, inadeguati e impauriti accanto a lei. E’ lei che si china a raccogliere il sangue sparso di suo figlio, ricordandolo quando cadeva, bambino. E’ lei che gli corre incontro durante il supplizio e non può far più nulla per Lui. E‘ lei che sotto la croce bacia per l’ultima volta il figlio di cui sembra non restare più nulla: sangue, sangue ovunque e nient’altro. E capiamo che è il presente anche lei, Maria, sempre e in ogni luogo. C’è lei nelle donne che prendono in braccio per l’ultima volta i figli uccisi, come ieri, un attimo fa, in Pakistan e anche ora, ovunque nel mondo.
E alla fine ci siamo noi: partecipiamo alla Passione dapprima come comunità di credenti, dopo come individui. E allora finiamo per vedere anche noi stessi, nella nostra miserevole individualità lì, tra Madre e Figlio. In quel momento vorremmo essere Giovanni, ma presto scopriamo di essere Pietro, il discepolo che sgomento, spaventato fino alle ossa, rinnega. Osserviamo Pietro che guarda il Maestro e Lui che ricambia lo sguardo, dopo il tradimento, e tace. Lì siamo davvero una carne sola con la debolezza del discepolo: Pietro rimane senza respiro per l’enormità della sua mancanza. Lo vediamo correre, crollare e disperarsi ai piedi della Madre. E capiamo che i nostri continui, piccoli e grandi tradimenti sono un tutt’uno con l’errore di Pietro. Le sue lacrime sono le nostre perché la nostra vita non è quella che dovrebbe essere, quella che Lui ha riscattato. E’ indelebile quello sguardo, lo sguardo dell’Uomo che osservò Pietro quella notte. Lui in silenzio, con obbedienza, sembra dirci in ogni momento ”Lo sconto io il tuo peccato, perché ti amo” come lo disse quella notte, con lo sguardo, al discepolo che tradiva. Possiamo oggi far finta di nulla e tornare alla vita di sempre, riporre le tovaglie e i piatti della Pasqua. Ma dopo quello che le immagini della Passione ci hanno ricordato, violentemente e meravigliosamente, dobbiamo chiederci se possiamo rimettere nel ripostiglio anche Gesù, fino a Natale. Se quello che abbiamo osservato non è solo un film, ma la traccia dolorosa e veritiera di quanto accaduto, dobbiamo dare una risposta a quel sacrificio. E forse in pegno di tanto sangue basta una sola lacrima scesa dal cuore, e non solo dagli occhi, per cambiarci davvero.
Armando Del Bello
VIDEO – La Passione di Cristo da un punto di vista medico