
In un’intervista al ‘Messaggero’ il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, torna sulla sonora sconfitta al referendum costituzionale e riflette: “Da quando è partita la campagna elettorale, con smisurato anticipo e procedendo per un inusitato tempo di svolgimento, c’ è stata una corrente di opinione e politica che almeno apparentemente non ha negato la necessità di una revisione della seconda parte della Carta ma ne ha drasticamente criticato e rifiutato il testo di legge in cui si era concretizzata in Parlamento la riforma da molti non negata in principio”.
Questa l’analisi di Napolitano rispetto alle critiche sul testo proposto: “Qualunque testo avessero potuto proporre studiosi rappresentativi della cultura costituzionale italiana, magari anche superando contrasti di opinione non lievi tra di loro, sarebbe dovuto passare al vaglio del Parlamento. E per ottenere una maggioranza in ambedue le Camere, era inevitabile un confronto che – in quella sede eminentemente politica – passasse non solo attraverso dissensi ma anche attraverso compromessi. E i compromessi facilmente incidono sulle formulazioni articolo per articolo e anche su punti nodali. Altrettanto facile diventa poi, fuori dal Parlamento, sviluppare critiche ed esprimere insoddisfazioni per quel che appare non ben chiaro, non ben scritto, non esente da imperfezioni ed equivoci”.
Per l’ex Capo dello Stato, “la personalizzazione e politicizzazione del confronto ad opera dell’ allora presidente del Consiglio si è subito trovata di fronte ad una personalizzazione alla rovescia da parte delle più variegate opposizioni. Che a un obbiettivo di vittoria politica per Renzi e per il governo, opponeva l’ obbiettivo di una traumatica sconfitta del presidente del Consiglio”. In sostanza, “nell’ attacco concentrico che egli ha subìto dalle opposizioni per il suo modo di governare o per gli indirizzi sostenuti in vari campi da Palazzo Chigi, è risultata evidente la perdita di qualsiasi criterio di analisi obbiettiva e di qualsiasi senso della misura e della responsabilità”. Altro errore “è stato quello di considerare la legge elettorale da approvare, e poi approvata con la sigla dell’ Italicum, come strumentale rispetto ai cambiamenti voluti con la riforma costituzionale”.
“Mi sono tenuto fuori dallo scontro politico e dai confronti faccia a faccia tra il Sì e il No. Mi sono impegnato soprattutto sulla scelta di fondo, a cominciare dalla necessità del superamento del bicameralismo paritario. E me ne sono occupato in continuità e in doverosa coerenza con l’ impegno da me enunciato e sostenuto in tal senso da presidente della Repubblica”, riflette ancora Napolitano, che sembra aver constatato la sconfitta: “Ho sostenuto, da senatore di diritto e a vita, la legge approvata dal Parlamento nell’ aprile 2016 con le sue luci e le sue ombre, per richiamare il giudizio di uno studioso autorevole. L’ ho sostenuta perché, al di là di quelle ombre, la sua approvazione anche in sede referendaria avrebbe permesso alle nostre istituzioni di realizzare grandi passi avanti, liberandoci da storiche debolezze del nostro ordinamento”.
Ora la speranza è nel nuovo governo Gentiloni: “Vedremo a quali iniziative riterrà di cooperare il nuovo governo, oltre il fondamentale impegno a rivedere l’ Italicum e ad armonizzare la legislazione elettorale nel suo complesso. E vedremo anche che fine faranno annunci rassicuranti sulla possibilità, dopo la sconfitta del Sì, di una riforma in tre articoli approvabile in sei mesi”. Infine Napolitano annuncia di voler mettere da parte il proprio impegno politico in prima linea: “Le vicende del governo e della quotidiana dialettica e manovra politica intendo seguirle con sempre maggiore distacco sulla base dell’esperienza compiuta in rapporto al problema della riforma costituzionale. Conto di dedicarmi piuttosto, a testimonianze e a riflessioni di carattere storico e culturale”.
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GM