
Un tentativo di stravolgere completamente le politiche sul lavoro messe in atto dal governo Renzi è quello che ha fatto la Cgil promuovendo tre quesiti referendari al vaglio della Corte Costituzionale che dovrà pronunciarsi sulla loro ammissibilità il prossimo 11 gennaio. Secondo i voleri del sindacato in pratica si sarebbe completamente smontato il Jobs act renziano, riportando in vigore l’articolo 18 ed anzi estendondolo ulteriormente. Proprio questo dettaglio però rischia di segnare il fallimento del referendum. Infatti la Corte pare orientata alla bocciatura del quesito sui licenziamenti “facili” poiché se approvato si andrebbe oltre l’abrogazione della norma della riforma Renzi-Poletti. Infatti, essendo il referendum «propositivo» farebbe estendere il diritto di recuperare il proprio posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo a tutti i dipendenti di aziende con almeno 5 impiegati. Proprio per il suo essere propositivo e non solo abrogativo diventerebbe inammissibile per la Consulta. Nessun problema, invece, per i due referendum sull’abolizione dei voucher e sulla responsabilità solidale per gli appalti. Proprio a proposito di voucher però il governo Gentiloni sta tentando di correre ai ripari prima che ci possa pensare la consultazione referendaria. Il voucher è il ticket da dieci euro lordi nato per pagare i lavoretti “accessori” e per permettere all’economia sommersa di emergere, che si è rivelato però un boomerang dato che le prestazioni occasionali da eccezione stanno diventando la regola. L’idea del governo Gentiloni è quella di dare una stretta a tutta la vicenda e per farlo sta valutando diverse ipotesi come riportare il tetto massimo di introiti per il lavoratore a 5 mila euro (da 7 mila), inasprire i controlli mirati per stanare i datori che rimpiazzano i contratti con i buoni, oppure aumentare le sanzioni pecuniarie per chi sgarra.
F.B.
TUTTE LE NEWS DI OGGI – VIDEO