
Sta facendo discutere l’editoriale su ‘Libero’ di Melania Rizzoli, medico ed ex parlamentare, vedova dell’editore Angelo Rizzoli, sulla legge 194/78 sull’aborto, una legge “che permette di abortire, cioè di sopprimere la vita nascente, cioè di eliminare un feto vivo di alcuni mesi, ovvero di ucciderlo, sano o malato che sia”. Secondo il medico, nel 90% dei casi il feto viene percepito “come causa di una gravidanza che mette a rischio il suo stato psico-fisico”. Viene evidenziata la sofferenza dei feti abortiti, eliminati “senza alcun farmaco per anestetizzarli, senza un antidolorifico e nemmeno una goccia di pentobarbital, poiché essi vengono soppressi da vivi e da svegli, mentre sono inconsapevoli ma reattivi”.
Melania Rizzoli si chiede: “Come la chiamate questa procedura? Non è forse una forma di eutanasia legalizzata?”. Quindi chiarisce che a suo avviso la legge 194/78 “è una legge sacrosanta, un diritto fondamentale delle donne che permette loro di decidere cosa fare del loro corpo e della vita che cresce nel loro utero, un libero arbitrio che ha salvato milioni di mancate madri dalle complicanze e dalle morti degli aborti clandestini”. Vi sono, ricorda Melania Rizzoli, diverse “procedure mediche e chirurgiche per l’ interruzione di gravidanza”, in base alle settimane di gestazione, a partire dalla pillola Ru486. “Dal 60mo giorno di gravidanza in poi l’ aborto può essere solo chirurgico, per le aumentate dimensioni del feto che cresce e dei suoi annessi, ed il convincimento comune è che esso venga eseguito in modo indolore”, spiega il medico.
Poi ricorda che “un feto di 60/90giorni però, per le sue dimensioni, non passa attraverso il calibro ridotto della cannula dell’ aspiratore e quindi va necessariamente smembrato (da vivo) usando sul suo fragile corpo la pressione negativa del risucchio del tubo aspirante od utilizzando apposite pinze sul suo corpicino (sempre da vivo) per estrarlo a pezzi”. Secondo Melania Rizzoli, chiunque assista a una di queste pratiche abortive ci penserebbe due volte prima di criticare i medici obiettori, come avvenuto in questi giorni, perché la morte di un feto “di dolce non ha proprio nulla, con lo smembramento da vivo di un essere indifeso, non ancora venuto alla luce, e che non ha chiesto né di essere concepito, né di nascere, né tantomeno di morire”.
La normativa sul fine vita
Melania Rizzoli evidenzia infine – dopo la morte di dj Fabo – la necessità di una legge “per regolare le nostre volontà, per legalizzare e rispettare le nostre dichiarazioni di sospensione delle cure quando non più utili a curare, per evitare l’ accanimento terapeutico, per permettere di essere accompagnati dignitosamente, anche con una sedazione se richiesta, nel momento più fragile della nostra esistenza, quello dei nostri ultimi giorni di vita”. Questo perché ritiene sia necessario morire “senza traumi e senza disperazione, senza invocare pietà, ma assistiti ed accompagnati da quella medicina che per fortuna oggi offre metodi meno dolorosi e meno cruenti di quelli dell’ aborto”.
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GM