
Rocky Strollo, endocrinologo e ricercatore presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma e prima firma della ricerca condotta da ricercatori italiani insieme a colleghi inglesi della Queen Mary University of London, ha commentato in prima persona gli importanti risultati raggiunti. “Abbiamo individuato infatti un particolare anticorpo in grado di predire l’insorgenza del diabete di tipo 1 nei soggetti sani”, un’affermazione tanto semplice quanto importante e innovativa nell’ambito della diabetologia. Lo studio è stato condotto partendo dai risultati ottenuti da una ricerca svedese condotta per circa 20 anni su una popolazione di oltre 17 mila soggetti.
La guida era del dottor Paolo Pozzilli, ordinario di Endocrinologia e Malattie metaboliche al Campus Bio-Medico. Lui stesso spiega: “Nel recente passato avevamo già dimostrato sperimentalmente su pazienti diabetici alla diagnosi che la presenza di auto-anticorpi rivolti alla cosiddetta insulina ossidata, ovvero arrugginita da radicali dell’ossigeno generati nel corso di un processo infiammatorio, aveva un potere diagnostico superiore rispetto a quelli diretti contro la forma naturale, non modificata d’insulina, dando esito positivo in circa l’84% dei pazienti, rispetto al 61% ottenuto con gli anticorpi per l’insulina normale”. E’ risultato positivo all’auto-anticorpo il 91% dei soggetti che sviluppano la malattia. “Abbiamo rilevato la presenza di questi anticorpi fino a 11 anni prima dello sviluppo del diabete di tipo 1”, aggiunge Strollo.
“La capacità di indicare un futuro caso di diabete di tipo 1 in base alla presenza nel sangue di questo auto-anticorpo, chiamato oxPTM-INS-Ab – conclude Pozzilli – è risultata molto alta, identificando la quasi totalità dei casi. I risultati suggeriscono, perciò, che questo nuovo auto-anticorpo potrebbe divenire un alleato importante per riuscire a predire quali sono le persone più a rischio di contrarre questa forma di diabete, sporadica e finora non predicibile, in tempo utile per evitare gravi danni alle beta-cellule del pancreas. Grazie a questa scoperta potremo presto fornire supporto ai soggetti che sentono il bisogno di sapere qual è il loro livello di predisposizione a sviluppare la malattia: penso, soprattutto, a quanti hanno fratelli o sorelle malati. Per questi ultimi, infatti, l’incidenza, che nella popolazione generale è del 2-3 per mille, può aumentare fino a 10 volte”.
F.B.