Un’intera famiglia avvelenata: morti madre, padre e figlia

famiglia avvelenata
(Websource/archivio)

E’ avvolta nel mistero più fitto la vicenda atroce e assurda della famiglia della provincia di Monza che è stata avvelenata dal tallio. Nei giorni scorsi i carabinieri di Rivignano della compagnia di Latisana (Udine) avevano  fatto l’ennesimo sopralluogo nella casa di campagna di Santa Marizza di Varmo (Udine) in cui l’intera famiglia aveva  trascorso le ferie estive. Poco dopo il loro ritorno a casa Giovanni Battista e Patrizia del Zotto erano deceduti all’ospedale di Desio e la diagnosi dei medici era stata tanto chiara quanto sconcertante: avvelenamento da tallio. Mentre si svolgevano i loro funerali è venuta a mancare per lo stesso motivo anche Maria Gioia Pittana, la moglie 87enne di Giovanni Battista e madre di Patrizia.

Tutte le ipotesi investigative rimangono aperte. Al momento sembra esclusa la presenza di tallio nell’acqua del pozzo artesiano, mentre si attendono ancora gli esiti delle analisi di laboratorio sui campioni di topicida prelevato nell’abitazione. Si aspetta anche di capire l’esito delle analisi sui filtri di un deumidificatore e di un condizionatore dell’abitazione tenuti costantemente accesi per tutta l’estate.

Carlo Locatelli, direttore del Centro Nazionale di Informazione Tossicologica della Fondazione Maugeri di Pavia, spiega: “Il tallio, elemento contenuto anche negli escrementi di piccione,  è un veleno che colpisce raramente in Italia, ma una volta entrato nell’organismo  molto difficile da eliminare. Nel nostro centro abbiamo al massimo un caso l’anno, anzi forse meno – spiega Locatelli -. E’ una sostanza che una volta era una causa più frequente di avvelenamento perché veniva usato come topicida, poi  è  stato proibito dall’Ue. Ci sono stati dei casi a volte criminosi di avvelenamento, a volte un uso accidentale di prodotti che non si dovevano utilizzare, magari comprati da Internet. E’ presente anche in alcuni dispositivi elettrici ed elettrotecnici”.

“E’ un veleno molto potente, tossico sia per inalazione che per ingestione, difficile da diagnosticare e trattare, anche se esistono dei farmaci che lo ‘estraggono’ dall’organismo. “E’ una molecola molto piccola – spiega – una volta che entra nei tessuti si diffonde velocemente, ed è difficile da eliminare. Ci sono dei trattamenti ma molto lenti, l’organismo deve reggere all’avvelenamento. In alcuni casi servono diversi mesi di cure perché il livello torni alla normalità, abbiamo avuto dei casi in cui sono stati necessari cinque mesi di trattamenti”

F.B.