
L’allarme non è nuovo: lo sviluppo della robotica costerà milioni di posti di lavoro. Circa due anni fa, era stato un rapporto del World Economic Forum di Davos a lanciare un primo allarme. Sta dunque diventando realtà quella che quasi un secolo fa l’economista John Maynard Keynes chiamò “disoccupazione tecnologica”, ovvero “la scoperta di nuovi mezzi per risparmiare sull’utilizzo del lavoro”. Una nuova allerta arriva adesso e riguarda direttamente il nostro Paese. Si tratta dei risultati di una ricerca di Adp e The European House – Ambrosetti, che mette nero su bianco quanto avverrà: “L’Industria 5.0 può essere intesa come paradigma evolutivo verso la piena integrazione tra uomo e tecnologia, in uno scenario in cui non vi sarà più la distinzione tra mondo virtuale e fisico, dato che uomo e macchine lavoreranno insieme”.
La trasformazione ha degli aspetti positivi, a partire da un minore sforzo fisico e una maggiore sicurezza sul luogo del lavoro. Inoltre, l’utilizzo di robot collaborativi (i cosiddetti “cobot”) può ottimizzare notevolmente la produzione. I robot sostituiranno i dipendenti nei lavori più rischiosi. Inoltre, i lavoratori avranno sempre più mansioni di supervisione e controllo. Per chiarire un dato: in Italia, il 55% dei lavoratori dichiara di svolgere delle funzioni routinarie e monotone. Se queste mansioni spetteranno alla macchina, i dipendenti avranno più tempo per pensare all’innovazione, con una conseguente maggiore qualità ed efficienza nella produzione e fornitura di servizi.
Il rovescio della medaglia riguarda appunto il rischio di perdita di lavoro manuale: in Italia, uno tra i Paesi che utilizzano maggiormente tecnologie automatizzate nell’industria, potrebbero essere sostituiti dall’automazione oltre tre milioni di posti di lavoro. Nel nostro Paese, peraltro, si contano in media 160 robot industriali ogni 10.000 dipendenti nella industria manifatturiera rispetto ai 150 della Spagna e ai 127 della Francia. Un boom a cui fanno da contraltare interi settori esposti a rischio di perdita di posti di lavoro: in cima alla lista agricoltura e pesca (25%), commercio (20%) e l’industria manifatturiera (19%). Quei posti di lavoro – rassicura la ricerca – saranno però sostituiti da altri, nati nei settori legati alla tecnologia, alle life science e alla ricerca scientifica.
GM