
C’erano voluti mesi prima che la donna si convincesse ad affrontare il trauma subito e a chiedere giustizia per la violenza subita, ma nove mesi dopo quella aggressione la dottoressa aveva presentato denuncia contro Maurizio Zecca (51 anni di Acquaviva, Bari). La donna ha accusato l’uomo di averla aggredita durante un turno alla guardia medica di Acquaviva e di averla stuprata. Immediatamente è stata aperta un’indagine e l’uomo è finito in manette il 13 novembre.
La vicenda ricorda da vicino quanto successo a Trecastagni (paesino montano in provincia di Catania) questa estate, ma l’esito delle indagini è molto diverso: il Tribunale del Riesame di Bari, infatti, ha deciso di scarcerare il presunto aggressore e di metterlo agli arresti domiciliari con l’obbligo di braccialetto. Il motivo di una simile e controversa decisione è dovuto ad un cavillo legale che scagionerebbe l’uomo dall’accusa di stupro e lo renderebbe processabile soltanto per il reato di stalking.
A quanto pare, infatti, la denuncia doveva essere presentata al massimo entro i sei mesi dall’accaduto: la presunta aggressione risale al dicembre del 2016 e la donna l’ha presentata soltanto a settembre del 2017. Questo ritardo, stando a quanto affermato dai giudici, renderebbe il reato improcedibile dal Tribunale, poiché a distanza di così tanto tempo non sarebbe possibile stabilire con assoluta certezza quanto capitato quella notte.
Una simile decisione è destinata a far discutere: sebbene sia difficile dimostrare quanto accaduto quella notte, se il reato è sussistito dovrebbe rimanere impunito? Che effetto ha una simile decisione su una donna che per paura, vergogna, debolezza non è riuscita finora a farsi avanti? Insomma una simile decisione dal punto di vista etico ha delle ripercussioni innegabili e potrebbe indurre molte donne a perpetrare l’errore di non denunciare il proprio aggressore per paura che un cavillo legale lo scagioni e permetta al reato di rimanere impunito.
F.S.