
“Io sono una persona leale. Sosterrò il segretario del mio partito. Lo sosterrò come candidato premier. Ma da leninista, non posso sopportare di essere trattato con metodi stalinisti e di diventare un bersaglio mediatico solo perché a detta di qualcuno potrei essere un rischio”. Arriva in piena campagna elettorale la stoccata di Roberto Maroni nei confronti del leader del suo partito, Matteo Salvini. Al centro della polemica, c’è la rinuncia del governatore di Lombardia a candidarsi per la rielezione.
Una rinuncia che – a detta dello stesso Roberto Maroni – avrebbe a che fare anche con il segretario leghista: “Possiamo dirlo. È questo uno dei tanti motivi che mi hanno spinto a ragionare su un futuro diverso, lontano da un modo di fare politica che capisco ma che, le dico la verità, proprio non mi appartiene”. Il governatore in carica va giù duro: “Consiglierei al mio segretario non solo di ricordare che fine ha fatto Stalin e che fine ha fatto Lenin ma anche di rileggersi un vecchio testo di Lenin. Ricordate? L’estremismo è la malattia infantile del comunismo. Se solo volessimo aggiornarlo ai nostri giorni dovremmo dire che l’estremismo è la malattia infantile della politica”.
Nell’intervista spazio anche a un commento sul Jobs Act: “Io penso che la riforma del lavoro migliore che la politica dovrebbe portare avanti è quella di migliorare la flessibilità prevista dal Jobs Act con alcuni correttivi che erano già contenuti nella legge Biagi, che conteneva un giusto equilibrio tra apertura del mercato e protezione del lavoro”. La legge sul lavoro, insomma, non sarebbe per niente da buttare, secondo Roberto Maroni: “Purtroppo tutto questo non si può dire perché in campagna elettorale, e vale anche per questa campagna elettorale, da una parte e dall’altra ci sono spesso valutazioni su questi temi che prescindono dal merito, frutto di perversi atteggiamenti ideologici in base ai quali tutto quello che è stato fatto prima di noi deve essere cancellato. Questa non è politica, è propaganda”.
GM