
Nelle scorse settimane, sono arrivati i risultati della tanto attesa super perizia nel processo per la morte di Marco Vannini, il ragazzo di 20 anni di Cerveteri ucciso da un colpo di pistola sparato dal padre della sua fidanzata, un luogotenente della Marina militare di 48 anni, Antonio Ciontoli. Per il delitto, risultano indagati tutti i componenti della famiglia Ciontoli, oltre a Viola, la fidanzata del figlio di Antonio Ciontoli. Nel frattempo su quelli che sono gli esiti della perizia emergono particolari che lasciano sconcertati. Sul fatto che il ragazzo si sarebbe potuto salvare ormai sembrano esserci pochi dubbi e ad attestarlo c’è il fatto che Marco Vannini, in quelle lunghe ore di agonia, perse tre litri di sangue in un’emorragia interna.
Inoltre, i soccorsi arrivano sul posto 110 minuti dopo lo sparo: i Ciontoli continuavano a minimizzare sull’accaduto e inoltre il luogotenente della Marina aveva spiegato al 118 che Marco Vannini solo un “buchino” alla spalla procuratosi da solo, cadendo, con un pettine a coda. Per tale ragione, l’ambulanza arrivò senza medico a bordo e rientrò in ospedale trasportando il ventenne come se si trattasse di un codice verde. Troppe omissioni, dunque, che di fatto provocarono la morte del ragazzo. Il medico legale, nella perizia, è chiaro: “Il paziente aveva circa 3 litri di liquido ematico. Il proiettile è entrato da destra a sinistra, dall’alto in basso, da dietro in avanti. Il cuore è avvolto dal pericardio che è stato perforato dal passaggio del proiettile. Non avendo una particolare elasticità il pericardio tende a comprimere se arriva a un certo punto di tensione”. Insomma, Marco Vannini non andò in arresto cardiaco perché la pressione a cui è stato sottoposto il cuore veniva alleviata dal defluire del sangue attraverso i fori interni provocati dal proiettile. Intanto, però, fu proprio questo particolare a determinarne una morte lenta e terribile.
GM