Hurricane è esistito davvero: chi era il pugile Rubin Carter

La storia di Rubin Carter, il pugile accusato di omicidio che ha ispirato il film “Hurricane – Il grido dell’innocenza”. Appuntamento stasera alle 23.30 su Rai Movie. 

“Hurricane – Il grido dell’innocenza”, appuntamento stasera alle 23.30 su Rai Movie. Interpretato dall’ottimo Denzel Washington, la pellicola racconta la reale storia Rubin Carter. 

Nato a Clifton il 6 maggio 1937, è stato un pugile statunitense salito alla ribalta soprattutto per fatti di cronaca. E’ stato infatti accusato di ben tre omicidi, tutti avvenuti tutti il 17 giugno 1996 a Paterson. Il quel giorno, alle 02.30 del mattino, due uomini entrarono in un locale della città e spararono all’impazzata, uccidendo complessivamente tre persone e ferendone un’altra.

Hurricane, la storia di Rubin Carter

Nessuno dei testimoni presenti – persone nascoste fuori o presenti sui balconi – riuscì a riconoscere le due persone, se non identificandone appena il colore della pelle: erano afroamericani. Poi il dettaglio scatenante: un’auto bianca con cui sfrecciarono verso Est dopo l’attentato. Vettura che coincideva con quella di Carter, già noto alle forze dell’ordine per un passato turbolento tra piccoli vari reati, soprattutto una rapina a una donna che gli valse quattro anni di reclusione.

E proprio in quel momento che si riaccende la passione per la boxe, nata in adolescenza in Germania durante una spedizione con l’esercito americano. Divenuto professionista il 21 settembre 1961, divenne presto un idolo della folla soprattutto per lo spirito indomito in un fisico apparentemente non all’altezza.

Carter, infatti, era mediamente più basso di un peso medio, ma nonostante ciò, combatté per tutta la carriera nella suddetta categoria. L’aggressività e i pugni letali lo resero una star, conquistando anche il soprannome ormai indelebile: Hurricane, un uragano appunto. Una carriera in continua ascesa, segnata da successi gloriosi anche contro campioni assoluto e – ai pronostici – imbattibili.

Dalla carriera gloriosa alla prigione

Ma la sua carriera fu bruscamente frenata da questo episodio criminoso. Ricercato dalla Polizia dopo la segnalazione sull’automobile, vi trovarono una pistola calibro 32 e dei proiettili per fucile calibro 12: lo stesso utilizzato per la strage. Carter fu portato in commissariato insieme a un altro sospettato, ed entrambi furono interrogati col test del poligrafo. “I soggetti stavano mentendo alle domande, entrambi erano coinvolti nel crimine”: fu questo il verdetto dell’esaminatore John J. McGuire.

Eppure nessuno dei testimoni riconobbe in Carter o Artis, l’altro indagato, uno dei criminali. Nemmeno la persona che sopravvisse alla furia assassina di quella notte, seppur a costo di un occhio. Sette mesi più tardi però, fu improvvisamente cambiata versione ed entrambi furono arrestati e condannati alla prigione a vita.

Durante la sua prigionia, Carter scrisse la sua autobiografia The Sixteenth Round: From Number 1 Contender to #45472. Ossia, il sedicesimo round: da sfidante numero 1 a numero 45472, pubblicata nel 1974. Sostenne fermamente la sua innocenza, ottenendo il sostegno della gente che intanto spingeva per la sua grazia.

Diversi personaggi pubblici si esposero in merito, tra cui anche Bob Dylan che gli dedicò la canzone Hurricane, lanciata nel 1975 e in cui veniva sostenuta l’innocenza dell’uomo. Furono in totale due i processi, dove i testimoni cambiarono diverse volte la versione infittendo ulteriormente il caso.

Nel 1985 la scarcerazione

La svolta – a favore di Carter – avvenne nel 1985: con l’aiuto di tre avvocati, ottenne con successo una petizione alla Corte Federale. E proprio in quell’anno il giudice Haddon Lee Sarokin sentenziò che Carter e Artis non avevano avuto un processo equo, basato piuttosto “su motivazioni razziali”. 

Non ci fu un successivo terzo processo: i procuratori della contea di Passaic avrebbero potuto provarci, ma decisero di non farlo. Sia perché i testimoni erano ormai irreperibili o morti, sia perché un nuovo tentativo avrebbe avuto un costo alto e probabilmente senza risposta esaustive o sicure. Così nel 1988 i procuratori del New Jersey archiviarono una mozione per allontanare gli atti d’accusa originali.

Dal 1988, Carter visse in una fattoria poco fuori Toronto e ricoprì la carica di direttore esecutivo dell’ADWC, l’Associazione per la Difesa dei Condannati per Errore. Il destino ha voluto che accadesse di nuovo: nel 1996 venne arrestato di nuovo, sempre per uno scambio di persone poi ufficialmente riconosciuto dalla polizia. Morì il 20 aprile 2014 all’età di 76 anni. Era affetto da tempo da un cancro alla prostata.

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