Polemiche sulla sicurezza e la mancanza di DPI dopo che un’infermiera è morta di Coronavirus a una settimana dalla pensione.
Per la maggior parte dei suoi 69 anni, Celia Yap-Banago ha dedicato la sua vita ai suoi pazienti, svolgendo le sue funzioni infermieristiche. Stava per celebrare i suoi 40 anni di servizio e quindi era prossima alla pensione, quando le è stato diagnosticato il Coronavirus. La donna è morta di fatto a una settimana dal congedo. Ora, i suoi colleghi e il sindacato delle infermiere di cui faceva parte, sperano che la sua morte aumenterà la consapevolezza della mancanza di dispositivi di protezione individuale. Vogliono spingere gli ospedali e i leader del governo a impegnarsi di più per gli infermieri e gli altri operatori sanitari in prima linea in questa crisi.
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40 anni di servizio: infermiera morta di Coronavirus, polemiche sulla sicurezza
Quando la pandemia di coronavirus ha colpito il Research Medical Center di Kansas City, Missouri, Yap-Banago ha detto alla sua famiglia di non preoccuparsi perché lavorava nell’unità di telemetria cardiaca, che si trova su un piano diverso da quello in cui venivano trattati i pazienti con Coronavirus. Ma il 23 marzo, una delle sue pazienti ha iniziato a mostrare i sintomi di Covid-19, secondo suo figlio, Jhulan Banago. La donna ha espresso preoccupazione rispetto alla mancanza di DPI nel reparto. Collettivamente, gli infermieri di RMC hanno sollevato preoccupazioni in merito a “forniture insufficienti di dispositivi di protezione individuale ottimali”. Altri operatori sanitari hanno denunciato “ritardi nella notifica agli infermieri di essere esposti a sospetti pazienti infetti”.
Ma dalla dirigenza della struttura ospedaliera respingono le accuse e minimizzano. Christine Hamele, portavoce dell’HCA Midwest Health System, ha definito le accuse di esposizione “vaghe”. Ha spiegato in una email inviata alla CNN: “Controlliamo tutte le persone che entrano in ospedale, compresi i nostri colleghi e seguiamo le linee guida del CDC e del dipartimento di salute statale”. Evidenzia ancora: “Se un collega viene messo in quarantena secondo le linee guida del CDC e lavora in una struttura di assistenza al paziente, pagheremo il 100 percento della retribuzione di base per un massimo di due settimane, indipendentemente da dove si è verificata l’esposizione”. Ma accuse arrivano da Charlene Carter, un’infermiera che ha lavorato con Yap-Banago per sette anni, e che ha inizialmente curato la paziente infetta. L’infermiera ha spiegato di aver subito reso nota la situazione ai suoi superiori. Ma a quanto pare, poco è stato fatto.
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