
TEMPI MODERNISSIMI – n. 2/2011 – Lo scorso 16 novembre, a distanza di tre anni dall’emanazione del cosiddetto Piano Nomadi da parte del Governo Berlusconi (il decreto del Presidente del Consiglio del 21 maggio 2008 titolato “stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi”), il Consiglio di Stato, accogliendo il controricorso di un’associazione per la difesa dei diritti dei Rom e di due abitanti del campo Casilino 900 di Roma, ha ribadito che non sussistevano le condizioni per decretare lo stato di emergenza: il pericolo insomma era più paventato che realmente esistente. Sono di conseguenza decadute anche le ordinanze presidenziali di nomina dei commissari delegati per l’emergenza e tutti gli atti successivi. Si tratta di una bocciatura di uno dei provvedimenti distintivi della politica di sicurezza dell’ultimo Governo Berlusconi, non l’unica a dire il vero. Qualche mese fa, il 7 aprile 2011, i lettori ricorderanno un’altra “bocciatura” importante di un intervento del Governo Berlusconi in tema di sicurezza: la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 115, ha dichiarato illegittime alcune innovazioni introdotte dal cosiddetto “Pacchetto sicurezza” nel 2008 in tema di ordinanze Sindacali. L’innovazione introdotta dal Governo Berlusconi ampliava i poteri dei Sindaci dei Comuni, che potevano quindi adottare provvedimenti normativi a tempo indeterminato al fine di prevenire o eliminare gravi minacce alla sicurezza urbana – e non solo in casi di urgenza. Da allora i Sindaci si sono prodigati nell’ideare le ordinanze più varie: anti-prostituzione, anti-mendicità, anti-lavavetri, ma anche anti-burqa, anti-kebab, anti-gavettoni. Verrebbe fa chiedersi: com’è possibile che due importanti iniziative dell’ultimo Governo Berlusconi in tema di sicurezza dei cittadini (un tema, si ricorderà, centrale nell’ultima campagna elettorale del 2008) sono state giudicate illegittime in tutto o in parte? Il mondo della politica non è in grado di legiferare in modo corretto? Oppure sono i giudici a essere di parte o politicizzati come si usa dire ormai da oltre quindici anni nel nostro Paese? A mio avviso, una risposta plausibile risiede nel carattere populista che le politiche di sicurezza hanno assunto nel nostro come in altri Paesi occidentali. Prendo spunto da un recente Seminario, organizzato a Roma dalla Rivista delle Politiche Sociali in collaborazione con ESPA-net Italia, dal titolo “Populismi in Europa”, per argomentare in che senso le politiche di sicurezza in Italia hanno tratti tipici del populismo. Innanzitutto, nelle dichiarazioni dei politici di Governo che le propongono, queste politiche sono adottate in risposta diretta ai bisogni della “gente comune”, di ciò che la gente vuole, ovviamente secondo la ricostruzione che di questi bisogni viene fatta tanto dai mezzi di comunicazione di massa quanto dal politico di turno; inoltre, questi provvedimenti sono licenziati generalmente per rispondere ad una “emergenza” sicurezza; quindi, prescindono da considerazioni di correttezza procedurale, che anzi vanno forzati in nome della domanda dei cittadini; questi provvedimenti si caratterizzano, infine, per essere fortemente politicizzati e presentati attraverso discorsi emotivi, a seguito di dibattiti politici dai toni accesi. Sotto questa luce è possibile capire meglio le “bocciature” delle politiche suddette, così come il flop dell’iniziativa di regolamentazione delle cosiddette “ronde” (“associazioni di osservatori volontari” introdotte dal Pacchetto sicurezza del 2009) – che pure tante polemiche aveva suscitato al momento della sua regolamentazione fortemente voluta dal Partito della Lega Nord (e su cui è pure intervenuta la Corte Costituzionale nel 2010, sancendo l’illegittimità del loro uso nelle situazioni di “disagio sociale”). Sono tutti provvedimenti che hanno una forte valenza simbolica ed emotiva, per i quali l’effetto annuncio è un aspetto decisivo (anche se non l’unico) nella relazione tra politica e opinione pubblica mediatica, e dove l’obiettivo della rassicurazione anticipa quello dell’aumento dei livelli di sicurezza oggettiva. Quando i mass media portano alla ribalta efferati delitti, casi di omicidi odiosi in cui avviene l’immedesimazione con la vittima da parte del pubblico, la politica deve dare risposte alla “gente comune”, il governo deve mostrare i muscoli, intervenendo innanzitutto con un linguaggio emotivamente caldo e vicino agli umori dei cittadini. Il piano di emergenza nomadi, l’ampliamento dei poteri dei Sindaci a presidio della sicurezza urbana, l’introduzione delle ronde, l’utilizzo delle Forze Armate con poteri di polizia nelle città, sono tutte misure varate dal Governo Berlusconi eletto nel 2008, e seguono il dibattito innescato a livello nazionale da alcuni fatti di cronaca avvenuti principalmente nella Capitale nel corso del precedente anno: l’uccisione di una ragazza alla stazione Termini dopo una colluttazione per futili motivi, l’assassinio di un ciclista vicino l’Ippodromo di Tori di Valle per un misero furto, l’aggressione omicida a una donna nei pressi della Stazione ferroviaria di Tor di Quinto. Il tratto comune dei tre omicidi è la nazionalità delle persone accusate di questi orribili reati, tutti stranieri, tutti romeni, e nell’ultimo caso in ordine cronologico, un romeno di origine Rom del vicino campo di Tor di Quinto. L’ondata emotiva dai tratti xenofobi seguita a questi eventi ha avuto un ruolo decisivo nel dettare la discussione interna e i provvedimenti dell’allora Governo di centro-sinistra a guida Romano Prodi, ha quindi condizionato la campagna elettorale seguente e i primi provvedimenti del nuovo Governo Berlusconi. Quali vantaggi hanno ricevuto i cittadini in termini di sicurezza dall’introduzione delle ronde? Quali dal piano nomadi? Quali dalle numerose ordinanze sindacali seguite alla Riforma dell’articolo 54 del TUEL? Le ordinanze anti-prostituzione, anti-accattonaggio, anti-alcol, anti-kebab, che tipo di risultati hanno portato per la sicurezza delle città? Si tratta di domande poco interessanti se si comprende appieno la logica espressiva delle politiche populiste di rassicurazione: il governo deve intervenire, anche pasticciando, ma mostrandosi anzitutto in linea con gli umori della gente così come costruiti dai media e dai politici stessi. Non è un fenomeno solo italiano: come ha osservato il criminologo David Garland, il populismo sta caratterizzando il campo delle politiche di sicurezza dei Paesi occidentali da tempo. Restando al caso italiano, tuttavia, il rapporto diretto tra politica e opinione pubblica mediatica è stato favorito dalla frantumazione del ruolo di mediazione dei partiti politici, e temi “caldi” come quello della sicurezza che chiama in causa sentimenti quali paure, rancore, sfiducia, e diritti fondamentali quali il diritto alla sicurezza e il diritto alla giustizia, sono particolarmente redditizi in fase di campagna elettorale. Gli anticorpi sociali a un uso principalmente espressivo e simbolico delle politiche di sicurezza sono senz’altro il buon funzionamento del potere giudiziario, l’attivismo delle associazioni per la tutela dei diritti delle minoranze, la buona informazione giornalistica, la ricerca sociale, ma per cacciare gli effetti negativi della cattiva politica serve la buona politica, e servirebbe il prima possibile.
Giuseppe Ricotta