Calo finanziamenti Ue per progetti di ricerca in Italia

Nell’ambito i un convegno promosso al Senato intitolato “Incontro su scienza, innovazione e salute” alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sono stati evidenziati gli utlimi dati di un’indagine sui finanziamenti europei dei progetti di ricerca in Italia.

Dall’analisi emerge negli utlimi due anni i progetti italiani che hanno avuto finanziamenti europei sono stati il 2,7%, registrando una diminuzione del 5% rispetto agli anni precedenti e ben al di sotto della media Ue che è intorno al 12%.

L’indagine ha anche evidenziato che il 40% dei progetti finisce poi all’estero».

E’ quanto ha commentato il docente Elisabetta Dejana dell’università degli Studi di Milano sottolineando che la ricerca italiana, tra il 1998 e il 2008 ha prodotto 371 mila pubblicazioni, collocandosi al quarto posto in Europa.

Tuttavia Dejana ammonisce che ora il settore sta “perdendo competitività perché lo Stato è ancora miope nel capire che investendo in ricerca si guadagna”.

Il ricercatore Andrea Bonaccorsi, dell’università di Pisa ha ricordato che “il tasso di rendimento annuale che si genera nel sistema economico se un governo investe in ricerca è tra il 20 e il 50%. La ricerca pubblica si ripaga in 2-5 anni”.

Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin nel suo intervento ha lanciato una sfida per rilanciare gli investimenti delle aziende del settore farmaceutico e biomedicale in Europa ma soprattutto in Italia: “Big Pharma non investe più in Ue perchè la normativa è troppo frammentata ed eccessivamente burocratica. Dobbiamo lavorare per semplificare e armonizzare questo aspetto e per rilanciare lo sviluppo, gli investimenti, i posti di lavoro e la ricerca di qualità. L’Italia ha una situazione più esasperata perchè nonostante abbiamo un sistema regolatorio riconosciuto in tutto il mondo come eccellente, e produciamo l’11% delle molecole che vengono esportate, abbiamo però il problema che la maggior parte delle start up vengono poi sviluppate in altri Paesi. Questo vuol dire che abbiamo una capacità di promozione che di fatto ha una ricaduta inferiore sui territori rispetto alle potenzialità espresse. Serve quindi una normativa regolatoria europea e anche italiana più armonizzata per incentivare le industrie del settore a riprendere gli investimenti”.

Redazione