
E’ senza dubbio tra gli scienziati italiani più noti all’estero il professor Umberto Veronesi, già ministro ‘tecnico’ della Sanità e attualmente direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia, ma è anche una personalità forte che con le sue affermazioni alimenta sempre grande dibattito e apre grandi controversie.
Negli ultimi anni, tante solo state le prese di posizione, dall’apertura sulla legalizzazione delle droghe leggere al giudizio favorevole sul nucleare, fino all’affermazione choc sull’uranio impoverito, ritenuto da molti esperti causa della morte di molti soldati reduci da missioni all’estero, mentre per Veronesi non è così: “Non fa niente, sono radiazioni alfa, con un range di un decimo di millimetro: uno se lo può anche mettere in tasca. Non è pericoloso”.
Ma nuove affermazioni di Veronesi stanno facendo scalpore in questi giorni, quelle contenute in un suo saggio in uscita domani per Einaudi, nel quale il noto scienziato arriva a sostenere: “Non saprei dire qual è stato il mio primo giorno senza Dio. Sicuramente dopo l’esperienza della guerra non misi mai più piede in una chiesa, ma il tramonto della fede era iniziato molto prima”.
Non vi sarebbe nulla di anomalo, si tratterebbe della presa di posizione di un agnostico, se poi Veronesi non aggiungesse: “Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio“.
“Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori?”
Sono le domande che si pone nel suo libro il professor Veronesi, secondo cui quando il dolore prende forma e “si manifesta diventa molto difficile identificarlo come una manifestazione del volere di Dio“.
Non mi guida l’angelo custode
Veronesi prosegue nel suo ragionamento: “Il bisturi che affonda nel corpo di un uomo o di una donna lo ritiene lontano dalla metafisica del dolore. In sala operatoria, quando il paziente si addormenta, è a te che affida la sua vita. L’ultimo sguardo di paura o di fiducia è per te. E tu, chirurgo, non puoi pensare che un angelo custode guidi la tua mano quando incidi e inizi l’operazione, quando in pochi istanti devo decidere cosa fare, quando asportare, come fermare un’emorragia”.
Parole che suonano come una provocazione, piuttosto che come una vera e propria presa di posizione.
GM
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