Ebola, il virus sta regredendo?

Ebola una retrospettiva
Un laboratorio di virologia in Sierra Leone (Francisco Leong/Getty Images)

Il virus dell’Ebola sta forse regredendo? E’ la domanda che viene da porsi se, dopo il diluvio di informazioni cui i media internazionali ci hanno sottoposto negli ultimi mesi, da circa due giorni non ci sono più notizie né in un senso, né nell’altro. Alla scorsa settimana risalgono gli aggiornamenti sul caso italiano di Firenze, sospetto e precauzionale. Qualche giorno prima il medico statunitense Craig Spencer, che aveva manifestato il contagio, era stato dimesso dopo aver ricevuto trattamenti sperimentali. Lunedì 17, invece, la notizia della morte, sempre negli Stati Uniti, del chirurgo Martin Salia. Proviamo a fare una piccola retrospettiva per capirci di più. Il virus fu scoperto nel 1976, e in questi 40 anni ci sono stati diversi focolai di contagio. Nessuno, però, sembra essere lontanamente assimilabile all’epidemia odierna in quanto a numero di morti. Si è detto dell’Ebola che è il virus più letale riscontrato dai tempi dell’HIV. L’epicentro dell’Ebola, diffuso nei paesi dell’Africa Occidentale, è stato dapprima in Liberia, poi Guinea e Sierra Leone. Seguono Nigeria, Mali e Stati Uniti. Le statistiche parlano di oltre 5.000 decessi su circa 14.000 casi, anche se la WHO, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, avverte sulle difficoltà di raccolta dati e che entro fine novembre si potrebbe arrivare a quota 20.000. Alcuni ricercatori del New England Journal of Medicine, fanno risalire il primo episodio letale di Ebola alla morte di un bambino di due anni, avvenuta il 6 dicembre 2013 in un villaggio della Guinea sudorientale. Nel primo periodo di diffusione, il virus ebbe un altissimo tasso di mortalità: 59 decessi su 86 casi. I sintomi erano febbre alta, vomito e diarrea. L’allarme internazionale fu lanciato dall’Africa lo scorso marzo, mentre le Nazioni Unite proclamarono l’emergenza sanitaria pubblica solo ad agosto. Il direttore generale della WHO Margaret Chan dichiarò che la velocità dei contagi era superiore a quella dei possibili trattamenti. L’8 ottobre è stata la data del primo caso di morte negli Stati Uniti: il 42enne Eric Duncan aveva contratto il virus in Liberia e manifestò i primi sintomi il 24 settembre, cinque giorni dopo il suo ritorno. Gli operatori sanitari che lo curarono stanno ancora oggi ricevendo trattamenti. In Italia, ogni Regione ha adottato un suo protocollo sanitario per la cura dei casi sospetti. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha sempre assunto toni rassicuranti: nel nostro Paese tutti i casi segnalati hanno sempre dato esito negativo. Se è vero, come è vero, che col tempo i virus hanno una regressione spontanea, è auspicabile che la ricerca scientifica si adoperi per una cura definitiva, anche quando si sgonfi l’attenzione mediatica.

C.M.