
Si alimenta il dibattito sulla sconfitta elettorale di Renzi al referendum costituzionale di domenica, che egli stesso ha ammesso annunciando le dimissioni, una sconfitta che non lascia possibilità di appello, visti anche i sei milioni di voti di scarto a fronte di una martellante campagna elettorale del fronte del Sì. Mentre Renzi fa un passo indietro sulle intenzioni di dimettersi, in un’intervista al Fatto Quotidiano, il costituzionalista Stefano Rodotà, uno dei più attivi sostenitori della campagna del No al referendum, parla di “evidente sconfitta” per il premier, con un No che “non è stato soltanto un rifiuto, ma anche un’indicazione di recupero della cultura costituzionale”.
Rodotà spiega che la sconfitta referendaria del governo guidato da Matteo Renzi deve rappresentare un punto di partenza e rilancia: “Segnalo che l’anno prossimo avremo di nuovo prove su questo terreno perché la Cgil ha promosso tre referendum, tra cui quello contro l’abolizione dell’articolo 18. Oggi non finisce un percorso, tutt’altro. Bisogna fare di questo risultato un’analisi che possa guidare le azioni dei prossimi mesi. Torneremo al protagonismo dei cittadini, che hanno dimostrato di voler esercitare le loro prerogative in proprio. Ponendo quindi il problema della delega e della rappresentanza: a queste domande bisognerà dare risposta. Non sarà semplice, ma questi problemi non sono più eludibili”.
Gli altri due quesiti referendari della Cgil puntano a eliminare il lavoro accessorio, pagato con i “voucher“ e chiedono la reintroduzione della “responsabilità solidale” negli appalti. Rodotà bacchetta Renzi per alcune sue scelte: “È stato imperdonabile fare una legge elettorale che valeva solo per la Camera, dando per scontato che i cittadini approvassero la riforma del Senato. Una classe dirigente deve avere visione e responsabilità: l’arroganza che sottende a questa mossa è inabbissibile. Senza dire che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul Porcellum, il compito primo del Parlamento era fare una legge elettorale almeno non incostuzionale. Il cuore di quella sentenza era proprio il tema della rappresentanza. Ora ci troviamo una legge elettorale che vale per una sola Camera e su cui c’è più di un sospetto di legittimità costituzionale”. Il noto giurista conclude: “Non c’è più posto per trucchi da funamboli. I cittadini devono potersi fidare perché altrimenti questo rinnovato interesse per le decisioni comuni scemerà e prenderà nuove direzioni, se non altre derive”.
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GM