Sudan, scontri tra pastori nomadi e milizie del governo

Miliziani dell'Esercito di Liberazione del Popolo SudaneseTensione alle stelle nella parte meridionale del Sudan. Nei giorni scorsi si sono registrati sanguinosi scontri tra pastori nomadi e governativi. Scontri avvenuti nella zona di frontiera tra la regione sudanese del Darfur e il Sud-Sudan, la regione semiautonoma del Paese africano. Cinquantacinque morti e 85 feriti è il bilancio di questi combattimenti. Gli scontri sono nati dopo che miliziani dell’Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese, Spla, a cui è affidata la difesa della regione meridionale sono intervenuti per bloccare dei pastori nomadi arabi del Darfur che si erano spinti a sud, nello stato del Bahr al-Ghazali, per cercare pascoli e acqua per il loro bestiame. Da prima ne è nata una scaramuccia che poi, è degenerata in violenti scontri. In merito però, ci sono contrastanti versioni. Secondo l’Spla sarebbero stati militari di Khartoum ad attaccare i miliziani. Versione questa, negata dall’esercito che invece, accusa i governativi del Sud-Sudan di aver provocato gli scontri con i nomadi. Violenze che il portavoce dell’esercito sudanese ha definito una chiara violazione dell’accordo di pace la cui bozza è stata siglata a Doha lo scorso febbraio. Non sarebbe la prima volta che provocazioni dei governativi di Khartoum creano tensioni ai confini tra le due regioni sudanesi. Questa volta però, non sono pochi quelli che temono che possano essere il preludio ad un’azione di forza da parte di Khartoum contro i ribelli del Darfur. Lo scorso 22 aprile un portavoce del gruppo ribelle del ‘Movimento per la giustizia e l’uguaglianza, Jem, aveva annunciato un imminente attacco al Darfur. Il Darfur, è la regione del Sudan dove è in corso una guerra civile che dura ormai dal 2003 e che secondo l’ONU ha causato 300mila morti ed 3 milioni di sfollati. Un attacco che ovviamente non può avvenire se non per una giusta causa. Altrimenti agli occhi della comunità internazionale, che da anni cerca di riportare la pace nella regione promuovendo e sostenendo anche economicamente accordi di pace, apparirebbe come una vile aggressione. Nel frattempo dopo Doha ogni altro colloquio che è seguito non ha dato risultati. Addirittura la data del 15 marzo stabilita per siglare nuove intese è passata nell’indifferenza di tutti.

In effetti raggiungere un accordo sembra interessare poco a Khartoum che puntava, secondo molti, solo a guadagnare tempo fino al voto dell’11-15 aprile. Un voto che avrebbe dovuto sancire la definitiva consacrazione a leader indiscusso del Sudan del generale Omar Hassan el Bashir. I ribelli, con questa consapevolezza, avevano chiesto invano un rinvio delle elezioni. Non a caso i recenti scontri della scorsa settimana si sono verificati pochi giorni dopo queste prime elezioni presidenziali, legislative e locali multipartitiche svoltesi in Sudan dopo 24 anni. Elezioni che hanno decretato appunto l’elezione a presidente del Sudan di Omar Hassan el Bashir. Prima non lo era di fatto, in quanto dopo aver preso il potere con un colpo di stato nel 1989 si era poi, autoproclamato presidente del Paese africano nel 1993. Con il suo avvento il Sudan si divise in nord, arabo e islamico, e sud, nero, cristiano e animista. Un fatto questo, che ha sancito la divisione del Paese. Una divisione su cui è stato indetto un referendum nel 2011 che dovrà stabilire se dovrà continuare o meno. El Bashir è l’unico capo di Stato in carica nei confronti del quale la Corte penale internazionale dell’Aja, Cpi, ha emesso un mandato d’arresto internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. Crimini che secondo la corte sono stati commessi negli ultimi 7 anni in Darfur. Ed è proprio riferendosi a questa martoriata regione sudanese, che il leader di Khartoum, nel discorso alla nazione tenuto in diretta Tv, subito dopo l’annuncio della sua rielezione alla presidenza della Repubblica, ha affermato: “Vigileremo affinchè venga completato il processo di pace nel Darfur”. Sibilline parole che presto si potrebbero materializzeranno in qualche altra eclatante azione contro il popolo del Darfur a maggioranza nera, cristiana e animista. Contro cui el Bashir ha messo in atto una vera e propria pulizia etnica ricorrendo anche alle sanguinarie milizie arabe dei ‘Janjaweed’.

Ferdinando Pelliccia