El Salvador, in marcia contro le mega-dighe

A El Salvador, dal 10 al 14 maggio, centinaia di persone hanno marciato fino a San Salvador, attraversando il paese a piedi per quattro giorni. Si è trattata di una mobilitazione di protesta contro il progetto di costruzione di tre megadighe idroelettriche in differenti zone del paese.

La marcia è stata organizzata dalle stesse persone minacciate di essere sgombrate per colpa di questi progetti, le quali si sono mosse per denunciare e rifiutare quella che è un’espropriazione forzata della terra e dei fiumi e, quindi, della vita stessa. La gente ha voluto camminare per dimostrare il suo ripudio verso tutti i tentativi di uso indiscriminato della terra, della natura e delle sue ricchezze: le dighe e lo sfruttamento delle miniere sono solamente alcuni dei progetti in atto nel paese, che sono stati ridefiniti mega-proyectos de muerte.

Questa mobilitazione ha rappresentato una grande azione di dignità e determinazione da parte delle persone, dei poveri, che non vogliono abbassare la testa di fronte alla nuova ed antica presunzione dei grandi interessi, delle imprese nazionali ed estere che si arricchiscono sulla loro pelle con il consenso del governo: la costruzione di grandi dighe non può che portare a conseguenze disastrose, soprattutto in un paese piccolo e densamente popolato come El Salvador. Molte terre verranno inondate, la gente che vi abita sarà obbligata allo sgombero e ad andare chissà dove, la deviazione del corso dei fiumi renderà più difficile l’accesso all’acqua per le comunità “superstiti” nei dintorni.

La diga El Chaparràl rappresenta uno di questi tre progetti; la sua costruzione è imminente, anche se la gente è determinata a non lasciare la sua terra.

La zona interessata è quella orientale, una delle più povere del paese, dove si vive grazie alla terra, in un’economia di sussistenza basata sulla coltura del mais: qui non si coltiva per vendere, ma per vivere e, senza terra, questa gente non ha di che mangiare. Più di 11.000 famiglie saranno obbligate allo sgombero; alcune persone, data la situazione di estrema povertà, si sono lasciate “comprare”, vendendo la loro terra a prezzi ridicoli, 60 dollari USA per 100 metri quadrati di terreno.

Il governo giustifica i progetti delle dighe affermando la necessità di generare ulteriore energia elettrica ed assicurando, così, anche la creazione di posti di lavoro. Quello che non si dice è che, in realtà, dietro tutto ciò ci sono i grandi benefici delle imprese, nazionali e straniere. Nel caso specifico della diga El Chaparral, l’impresa che ha fiutato l’affare è l’italiana Astaldi che, tra l’altro, ha vinto l’appalto in maniera illecita.

Secondo un ex-rappresentante dell’attuale governo, inoltre, il progetto della diga El Chaparral, sul fiume Torola, è da interrompere perché i costi, dal punto di vista ambientale, umano ed economico, saranno molto più alti rispetto a quelli che in principio si erano previsti.

Il popolo rifiuta tali piani di sfruttamento e sta rivendicando, semplicemente, diritti umani fondamentali: disporre di un pezzo di terra da coltivare per vivere e preservare i propri fiumi per bere, lavare, lavarsi.

Niente di più essenziale, niente di più inviolabile

Anita Carriero – A Sud