Aerei da guerra turchi continuano a bombardare i ribelli del Partito dei lavoratori curdo, il Pkk, nella zona di Sidakan, nel nord Iraq. La Turchia ha chiesto a Baghdad, agli Stati Uniti e all’amministrazione regionale curda di Arbil la consegna di 248 ribelli curdi che operano in Iraq «il prima possibile». L’ elenco comprende comandanti ribelli come Murat Karayilan, Cemil Bayik e Duran Kalkan.
L’ ultimo raid dell’ aviazione è seguito alla bomba all’ oleodotto iracheno piazzata domenica scorsa dal Pkk, ed è, al momento, l’episodio più recente di un conflitto che si sta consumando nel Kurdistan Iracheno nel disinteresse internazionale. L’ ordigno, a sua volta, sarebbe stato una risposta al bombardamento turco delle basi del Pkk la settimana precedente. Alcuni osservatori ritengono che i recenti attacchi del Partito dei lavoratori curdo siano una conseguenza dell’arresto lo scorso ottobre da parte delle forze di sicurezza turche di diversi membri del Pkk, e una manovra contro l’arresto di «disertori» nell’ambito di un procedimento giudiziario ancora in corso contro la cosiddetta attività di «propaganda terroristica».
Le operazioni armate curde erano state già annunciate dal portavoce del PKK, Ahmad Denis, che, sabato 19 giugno, aveva dichiarato che le operazioni avrebbero coinvolto tutte le città turche. Il presidente turco, Tayyip Erdogan, in quell’occasione dichiarò che gli attacchi ai «codardi militanti del PKK» non cesseranno «finchè il gruppo terroristico non verrà annientato».
Gli attori principali di questa guerra sono da un lato il Pkk, che sin dagli anni ‘70 aspira a vendicare la repressione turca che ha costretto migliaia di curdi a lasciare la loro terra e, soprattutto, a creare uno Stato curdo indipendente, e dall’altro la Turchia, che teme l’avverarsi del sogno separatista vista l’importante minoranza curda nel proprio territorio. Il conflitto turco-curdo e tutte le violenze che ne sono seguite hanno già macinato oltre 40 mila morti, e il fallimento dei negoziati dell’anno passato ha provocato il riemergere dei toni bellicosi e un’escalation di violenze senza fine. Ma dietro le quinte si muovono ben altri attori, che svolgono un ruolo spesso determinante. La Turchia, in questa battaglia contro i militanti armati curdi, viene fiancheggiata (ed equipaggiata) dalle potenze occidentali: Stati Uniti ed Unione Europea. Sulla scia degli avvenimenti dell’11 settembre del 2001, il Pkk è stato definito «organizzazione terroristica» dalla comunità internazionale.
Da parte sua Israele, assecondando gli interessi statunitensi di possedere quanti più alleati possibili nella regione, supporta il governo e l’esercito turco, al quale ha recentemente venduto 190 milioni di dollari di droni. La cooperazione sul piano commerciale e su quello della difesa tra i due paesi è in continuo aumento, nonostante i toni infiammati degli ultimi mesi, in modo particolare dopo l’uccisione lo scorso 31 maggio di 9 pacifisti turchi sulla nave «Mavi Marmara» per mano dell’esercito israeliano e in seguito al voto contrario (politicamente ed economicamente strategico) espresso dalla Turchia e dal Brasile nei confronti delle nuove sanzioni all’Iran da parte dell’Onu.
Negli ultimi mesi, anche Damasco ha spesso collaborato con Ankara alla lotta al «separatismo curdo». La stessa Siria conta un’importante minoranza curda al suo interno e avrebbe recentemente deciso di sanzionare le famiglie curde sospettate di aver legami con il Pkk. Nei giorni scorsi Damasco ha annunciato l’uccisione di 12 militanti curdi e, secondo quanto è stato riportato da Anadolu, l’agenzia di stampa turca, ha arrestato circa quattrocento presunti membri del PKK nelle città di Aleppo, Kamishli, Afrin, Al Hasaka e Al Raqqa (http://www.nena-news.com/?p=2091).
Ankara, nella sua lotta contro i separatisti, si rivolge anche agli stessi curdi, e, di recente, ha ospitato il leader curdo iracheno Massoud Barzani, per sviluppare le relazioni con i leader curdi «moderati» e tentare di arginare le minaccia del Pkk. Al termine dell’incontro, lo stesso Barzani ha definito «illegale» la presenza nel nord Iraq dei militanti del Partito dei lavoratori curd .
Il Pkk, dal canto suo, godrebbe di alcuni appoggi esterni di difficile definizione. Descriverli è assai complesso, vista la loro segretezza, e può generare confusioni. Recentemente, infatti, alcuni membri del Mossad (il servizio segreto dello Stato ebraico) e diversi ufficiali israeliani in pensione, sono stati sorpresi ad addestrare combattenti curdi nell’Iraq settentrionale. Dunque, parallelamente alle relazioni ufficiali tra Stato turco e Stato di Israele, pare che quest’ultimo tessi una fitta trama di relazioni anche col Pkk in funzione anti-turca (e anti-iraniana).
Se si considera la posizione turca nei confronti dell’aggressione israeliana contro il Libano nel 2006, nei confronti dell’embargo e dell’aggressione israeliana a Gaza nel 2008, l’insoddisfazione turca per la ritrosia israeliana di fronte alla mediazione di Ankara fra Tel Aviv e Damasco, la volontà turca di far partecipare Hamas ai negoziati e il recente voto contrario di Turchia e Brasile alle sanzioni contro il programma nucleare iraniano, non suscita alcuna meraviglia che tra Tel Aviv e Ankara non scorra buon sangue. A dimostrarlo sono le dichiarazioni turche da «paladino della causa palestinese» (nonostante poi, contraddittoriamente, Ankara non riconosca quella curda) e la campagna israeliana di incitamento contro la Turchia rivolta agli Stati Uniti e ai paesi dell’Unione Europea.
Le relazioni tra il Mossad e i curdi sono sotto analisi da anni, e la loro prima trasposizione mediatica risale al 2006, quando sul magazine New Yorker venne pubblicato un articolo di Saymour Hersh, uno dei più noti giornalisti investigativi statunitensi e premio Pulitzer, sull’appoggio americano e israeliano ai «terroristi curdi». Nel suo articolo, Hersh citava indiscrezioni di un consulente del governo con stretti legami con la dirigenza civile del Pentagono, asserendo che le relazioni con il Pkk si inserivano nel disegno di «esplorare mezzi alternativi di pressione sull’Iran» (anche Tehran è coinvolta in una guerra contro i curdi e responsabile dell’impiccagione di diversi militanti del “Partito per una Vita Libera in Kurdistan”, il ramo iraniano del Pkk formatosi in seguito all’operazione di smembramento tattico dopo l’11 settembre).
Quando, lo scorso 20 giugno, le truppe turche si sono inoltrate per oltre 10 kilometri nel nord dell’Iraq, uccidendo 3 militanti del Pkk, pare che sia stato avvistato il ritiro di agenti del Mossad israeliano. A dichiararlo è stato l’analista turco Sadat Laciner, il quale sostiene che Tel Aviv guarda con sospetto alla forza politica guidata dal primo ministro turco Tayyip Erdogan, il Partito della giustizia e dello sviluppo: «Il Pkk per Israele è un mero imprenditore con cui fare affari», ha spiegato Laciner al quotidiano turco in lingua inglese Today’s Zaman.
Nurullah Aydin, dell’università di Gazi, sostiene che Israele non solo addestra truppe per conto dell’amministrazione regionale curda, ma aiuta e spalleggia i «terroristi del Pkk». «Le deposizioni rese da terroristi catturati e le armi sequestrate durante i raid anti-terroristici indicano che ufficiali dell’esercito israeliano hanno fornito addestramento e armi al Pkk», ha detto, supponendo che il governo turco tenga tale informazione segreta.
Nel 2008, Hersh scrisse un altro articolo secondo il quale anche la Cia e le forze speciali americane avevano legami con gruppi clandestini in Iran, tra cui il Mujahideen-e-Khalq (Mek) e il Pjak curdo. Allora, Hersh scrisse che «Il partito curdo Pjak, che pare sia sostenuto segretamente dagli Stati Uniti, compie le sue operazioni contro l’Iran dalle sue basi nell’Iraq del nord da almeno tre anni». Nell’articolo del 2008, Hersh riferì anche che il Pjak «ha sottoposto la Turchia, che è membro della NATO, a ripetuti attacchi terroristici e i rapporti sul sostegno americano al gruppo sono stati fonte di attrito tra i due governi». Infine il giornalista americano scrisse che Israele e Usa hanno lavorato assieme per fornire un sostegno militare e logistico al Pkk e alla sua versione iraniana Pjak: il tutto avviene in gran segreto e si inserisce in una strategia di ampia portata, a «doppio binario» finalizzata alla destabilizzazione della regione in funzione «anti-asse del male», ossia di quei paesi ritenuti «nemici» da Tel Aviv e Washington.
Michaela De Marco – NenaNews