Perché portare l’ Italia in Cina se si può portare la Cina in Italia? Da anni la piccola e media impresa italiana sta vivendo una crisi strutturale, soffocata dalla crisi economico-finanziaria e da una concorrenza straniera che gioca ad armi impari. La “delocalizzazione”, una parola difficile che altro non vuol dire che “produrre dove la manodopera costa meno” sta mettendo in ginocchio l’ economia di un Paese, costringendo alcune realtà imprenditoriali nostrane, come il ricco Nord est, a guardarsi allo specchio per la prima volta in cerca di che cosa non funziona più. Una delocalizzazione che sta mutando in una forma ancora più diabolica: portare in Italia la manodopera a basso costo.
È il caso dell’ industria di mobili di Forlì, attaccata dall’ interno della sua provincia dai tanti lavoratori cinesi impiegati a bassissimo costo e fatti lavorare anche 12 otre al giorno. Uno sfruttamento legalizzato che sta facendo chiudere tante belle realtà di padri che hanno tramandato ai figli una bottega e con essa un’ intera vita. “Concorrenza sleale, anzi meschina” gridano gli imprenditori sul lastrico, inascoltati tanto dai politici locali tanto da quel Governo nazionale che dovrebbe da Roma dettare la linea dell’intera economia italiana, prevedendo e contrastando metastasi distruttive come la delocalizzazione interna. “È il libero mercato”, diranno in molti. No, è la degenerazione del capitalismo che sfocia in quel “iper-capitalismo” che gli economisti di mezzo mondo stanno studiando per metterne in rilievo le contraddizioni e le aberrazioni. Un’ economia che dietro la formula della libera equazione “domanda/offerta” nasconde uno sfruttamento moderno che legittima una forma di schiavitù da XXI secolo e getta le basi di un tracollo economico nazionale, perché va ricordato che l’ economia italiana non è solo Fiat e Telecom ma è fatta soprattutto di migliaia di piccole e medie aziende non quotate in borsa, senza manager milionari e finanziamenti statali.
Una forma di sfruttamento ai danni di stranieri (cinesi, rumeni, ecc…) ma orchestrata, il più delle volte, da imprenditori italiani. Dai “caporali” delle campagne di Rosarno ai piccoli “paron” delle imprese edili del bresciano la logica è sempre la stessa: assumere precari, schiavizzare e riempirsi la pancia. Un guadagno immediato che perde di vista non solo l’ interesse nazionale, ma la stessa sopravvivenza dell’ economia locale a medio termine. Perché le piccole imprese italiane, come a Forlì, non sono in grado di reggere questa concorrenza sleale, illegittima e immorale. Sono costrette a chiudere. Allora le persone rimangono senza lavoro e la crisi dilaga.
Da Roma niente, nessuna reazione. Se non si è la Fiat, l’ Alitalia o una banca non ci sono aiuti statali. Anzi peggio, si cerca di istituzionalizzare lo sfruttamento, come nel caso di Pomigliano, dove ai lavoratori si è detto “o accettate queste condizioni oppure ce ne restiamo in Polonia”. L’ alternativa sarebbe stata portar i polacchi a Napoli. E intanto questa maggioranza, con a capo la Lega, cerca facili soluzioni e un colpevole indifeso: il cinese di turno. Ecco quindi le campagne razziste e xenofobe, la barriere doganali le quote di “schiavi” da importare in Italia. Soluzioni che in realtà sono solo fumo negli occhi di un’ opinione pubblica che avverte un malore e cerca un colpevole. Il colpevole però é il precario equilibrio economico moderno, basato su sfruttamento e profitto, che non prende in considerazione i bisogni sociali ed è totalmente privo di lungimiranza.
Di fronte a queste cecità rischiano di infrangersi anche i progetti europei di promozione dei prodotti nostrani come il Made In, un’etichetta di qualità necessaria per proteggere i nostri mercati dalla contraffazione esterna ma impotente contro le anomali interne. Da questo punto di vista l’ Europa può fare molto, ma non da sola. Il principio di sussidiarietà su cu si basa l’ Unione europea lascia agli Stati membri ampio margine di azione. Ancora una volta bisogna guardare a Roma, sperando che questo Governo dimentichi per un po’ i propri problemi di giustizia e si concentri su quelli dell’ economia del Paese. Cosa difficile a giudicare dalle priorità di Berlusconi, fatte di processi, appalti truccati e intercettazioni. E intanto a Forlì le fabbriche chiudono…
Luigi de Magistris