
INTERVISTA A GIUSEPPE DE MARZO – Abbiamo intervistato Giuseppe De Marzo, portavoce dell’associazione A Sud, attiva nel campo della cooperazione internazionale a sostegno dei movimenti sociali e indigeni del Sud del mondo. A Sud promuove campagne di sensibilizzazione sui temi della decrescita, della difesa dei beni comuni e della democrazia partecipata. Insieme a molte altre associazioni partecipa alle manifestazioni e ai movimenti per la giustizia economica e sociale.
– Con l’associazione a Sud avete partecipato alla manifestazione mondiale del 15 ottobre, nota anche come manifestazione degli “indignati”, vuoi raccontarci come e perché è nata l’idea di questa vostra partecipazione?
Insieme a moltissime altre realtà e associazioni abbiamo promosso la manifestazione del 15 ottobre perché ci sembra evidente come nel nostro Paese e in tutta Europa si voglia liquidare la democrazia, i diritti acquisiti negli anni, ma anche le speranze di costruirsi una vita, affrontando la crisi economica con un insieme di ricette sbagliate, le stesse che hanno originato la crisi. Da qui l’indignazione degli italiani e delle italiane, dei cittadini e delle cittadine europei e anche di altre parti del mondo, legata alla inadeguatezza delle risposte, di cui abbiamo bisogno, per combattere una crisi che noi non abbiamo creato. Una crisi è colpa della deriva di un sistema economico che ha generato la finanza speculativa. Questo sistema ha portato nel 2007 ad una crisi pagata dagli Stati, che hanno salvato le banche, e oggi quegli stessi Stati chiedono il conto ai cittadini. Come può capire chiunque, questo è completamente ingiusto e se venisse realizzato farebbe franare sotto i nostri piedi qualsiasi speranza di democrazia, di sviluppo e di giustizia in questo Paese e in Europa. Se non ci indigniamo, se non scendiamo in piazza, se non proponiamo altro e se non proviamo a riscattare la democrazia, rischiamo che non lo faccia davvero nessuno. Tra i motivi di questa indignazione c’è anche l’inadeguatezza delle forze politiche di opposizione ad affrontare la crisi e a mettere in campo delle proposte.
– Un tuo commento sul vertice straordinario dell’Unione Europea a Bruxelles?
Noi riteniamo che sia lontano dai cittadini e dai loro problemi. Ad esempio, in Italia, stanno alle statistiche, il 56% degli italiani è d’accordo sui contenuti della nostra manifestazione del 15 ottobre: come noi è contro l’austerity, contro il pareggio di bilancio, vuole altro. Noi parliamo di ristrutturazione del debito, di difesa dei beni comuni, di investimenti in settori dell’economia ad alto tasso di occupazione, come la ricerca, l’istruzione, il welfare, le energie rinnovabili. Il fatto che la maggioranza degli europei veda positivamente e sia anche parte di tutto ciò che noi stiamo dicendo e proponendo, dà la misura della distanza rispetto ai politici e tecnocrati che si incontrano a Bruxelles. Questi pensano di parlare a nome dell’Europa, ma in realtà condannano gli europei e le europee al precipizio. Per noi, pertanto, si tratta di un vertice malato, che propone ricette assolutamente sbagliate e a cui, purtroppo, il nostro Paese ha offerto un’immagine caricaturale.
– Pensi che nel mondo i movimenti dei cosiddetti “indignati” possano trovare un punto di sintesi, oppure c’è il rischio che rimangano delle realtà isolate?
Innanzitutto, va sottolineato che il termine “movimento degli indignati” è una semplificazione giornalistica che allontana dai problemi, invece di analizzarli e approfondirli, e che appartiene a quella stessa cultura che ha prodotto venti anni di crisi. Noi non siamo gli “indignados”, noi siamo persone, cittadini, che appartengono a gruppi, organizzazioni, sindacati e associazioni e che si oppongono a quello che sta accadendo in tutto il mondo, che non è dipeso da noi, ma dalla incapacità di questo modello (capitalistico) di autoriformarsi. Il fatto che crescano i movimenti, la partecipazione, l’indignazione, la voglia di riscatto, non è merito nostro. Questo accade perché in campo c’è una sola ideologia dominante, in crisi e che non riesce ad autoriformarsi, che produce una crisi sistemica e strutturale che attenta alle nostre vite (vedi la crisi ecologica). Di conseguenza, in assenza di un pensiero forte e altro che possa sfidare l’ideologia dominante sul piano dell’egemonia culturale, i movimenti e la società civile suppliscono e crescono nelle forme delle loro proposte, della partecipazione. Rappresentano una sorta di baluardo opposto alla crisi. Non siamo noi a determinare questa situazione, è la crisi che determina le condizioni della politica e della democrazia nel mondo.
Uno dei nostri compiti sarà sicuramente quello di migliorare, in termini di qualità, la nostra proposta politica. Penso che sia molto importante riuscire ad avere proposte coerenti, che continuino ad incontrare il consenso dei cittadini. Dobbiamo anche fare un po’ autocritica. Ad esempio, dire “chiudiamo le banche” o “non paghiamo nessun debito” è uno slogan provocatorio, ma che rischia di non essere compreso dai cittadini. Dire invece che dobbiamo ristrutturare il debito e che il 50% può non essere pagato, perché contratto da banche private, è cosa diversa, e possiamo spiegarla con un audit pubblico sul debito. Noi crediamo, infatti, che i cittadini debbano sapere la verità sulle questioni del debito, perché, improvvisamente, negli ultimi mesi sono diventate centrali. Anche se l’Italia un debito enorme l’ha sempre avuto, quindi bisognerebbe capire perché il debito continua a crescere e come facciamo a fermare la speculazione sui tassi di rendimento dei nostri titoli di Stato, il famoso spread. Scopriremmo che una parte del nostro debito appartiene a banche private e queste banche è giusto che falliscano o ricapitalizzino il debito che noi non possiamo più pagare, perché sono state le banche a originare la speculazione. A quel punto, ricapitalizzando, le banche private avrebbero ridotto la leva finanziaria e quindi avremmo anche affrontato uno dei problemi legati alla speculazione finanziaria. Non tutti i mali verrebbero per nuocere. Ricordo che l’Argentina è andata in default e oggi sta molto meglio di prima: il suo Pil è al 7,5%, il suo governo di sinistra ha stravinto le elezioni, ha visto tutti gli indici umani migliorati. Così anche l’Islanda e l’Ecuador, che stanno meglio di prima.
– L’Islanda, infatti, si è opposta al metodo che vuole imporre misure di austerity ai cittadini. L’accusa che viene fatta, da chi in questo momento detiene il potere, ai vari movimenti che si oppongono alla speculazione finanziaria e alle politiche che vogliono far pagare ai cittadini i danni di questa speculazione, è quella di non avere proposte chiare.
E’ curioso che questo venga da chi nel 2007 ha alimentato la crisi, da coloro a cui abbiamo dato i nostri soldi. Noi abbiamo dato i nostri soldi a degli imbroglioni, a dei cialtroni che hanno prodotto la crisi e dopo quattro anni in cui si sono impegnati solennemente a non ripetere più i loro errori, scopriamo che li hanno ripetuti tutti, che i titoli tossici sono ovunque, e sono sette-otto volte il Pil mondiale, che nessuno di questi speculatori vuole pagare, che i primi 50 top manager guadagnano 588 milioni di dollari all’anno, cioè 19.000 volte lo stipendio medio di un lavoratore. Sarebbe paradossale e ridicolo che chi governa il mondo, e lo sta distruggendo, adesso accusi la mancanza di qualche proposta politica coerente da parte dei cittadini. Ma è un miracolo che i cittadini e le cittadine difendano la democrazia, sono i veri eroi di questa crisi coloro che continuano a difendere la democrazia, coloro che continuano a non perdere la speranza di avere come comunità di destino il bene comune e non il profitto o l’utilità marginale.
– Come commenti quanto accaduto di recente a Wall Street, dove i manifestanti di Piazza Tahrir (cuore della rivoluzione egiziana al Cairo) sono andati a solidarizzare quelli di Occupy Wall Street?
Io penso sia il mondo che tutti vogliamo, sia il mondo che la maggior parte degli abitanti di questo pianeta vuole, sia quello che sentiamo nel nostro cuore e nella nostra testa. Insieme ce la possiamo fare, ce n’è per tutti, la terra produce frutti e risorse che potrebbero essere utili a tutti, ma che non colmerebbero mai, come diceva Gandhi, l’egoismo dei molti. Mi sembra evidente che sia qualcosa di meraviglioso vedere come al di là degli steccati creati ad arte dai media, in questi vent’anni, tra Occidente e Oriente, tra musulmani e cristiani, tra statunitensi e popoli del Sud del mondo, alla fine c’è un’umanità che si riconosce in valori come la democrazia, la solidarietà, la fratellanza, la pace e la giustizia. Il punto è che questa umanità, che è maggioranza, non governa, non controlla la governance globale, quindi il conflitto serve per riappropriarci della democrazia di cui siamo stati espropriati da tecnocrati, da politiche sbagliate, dall’assenza delle forze politiche su terreni così importanti come quello della finanza, della moneta, dell’economia, del commercio, dell’industria nel corso degli ultimi vent’anni.
– Riguardo all’Italia, quali prospettive vedi, in un futuro a breve-medio termine, in merito alle risposte della società civile a quanto sta accadendo? Quali possono essere, secondo te, gli sviluppi nei prossimi mesi?
Io vedo nel Paese, da più di un anno e mezzo, la società completamente risvegliata, protagonista di straordinarie battaglie, protagonista nel mondo del lavoro, se si pensa alla manifestazione del 17 ottobre dell’anno scorso della Fiom, a partire da quel verdetto che Marchionne voleva imporre sulle teste dei lavoratori e delle lavoratrici. Basti ricorade poi le donne che si sono battute per la propria dignità contro la volgarità al governo, gli studenti che hanno combattuto e continuano a combattere contro lo sfruttamento della scuola e del servizio pubblico. Vedo i referendum come l’esempio concreto del fatto che in questo Paese ci sia, a maggioranza, una richiesta straordinaria di valori altri: le battaglie che abbiamo fatto per l’acqua pubblica, per la giustizia e contro l’energia nucleare hanno mostrato chiaramente che c’è una voglia da parte degli italiani e delle italiane di partecipare, di spendersi, di darsi da fare, con forme diverse rispetto a quelle classiche della politica. Una partecipazione non avviene nei partiti, non avviene nei cosiddetti corpi intermedi classici della politica. Questo è un fatto su cui le forze politiche si dovrebbero interrogare e mi auguro che le forze dell’opposizione, coloro che si definiscono democratici, ambientalisti, progressisti, comprendano questa straordinaria fortuna che il nostro Paese ha, cioè quella di disporre di una società civile in movimento, così ricca, così appassionata ai temi della democrazia. Io penso che se sapremo lavorare in termini di costruzione di nuova istituzionalità sociale, cioè seguendo quelle esperienze in cui nuove amministrazioni hanno aperto concretamente spazi e perso potere nei confronti dei cittadini e dei movimenti, si può intraprendere una strada molto interessante. Il dubbio che rimane a molti di noi è legato invece alle elezioni: noi in questo Paese non abbiamo bisogno di alternanza, abbiamo bisogno di alternativa. Se il centro-sinistra pensa di proporre le stesse politiche economiche di Berlusconi e della Bce, come Enrico Letta in parte ha, sinceramente, sostenuto, allora passiamo dalla padella alla brace: il Paese che è sull’orlo del precipizio, questa volta viene buttato nel precipizio. Quindi noi ci auguriamo che il centro-sinistra dopo una serie inenarrabile di errori, compiuti in questi vent’anni, comprenda che cambiare significa cambiare rotta, significa alternative vere, non ritornare sugli stessi errori. Ricordiamolo, il Pd era tra quelli che hanno iniziato la privatizzazione dell’acqua in Italia, sul finire degli Anni ’90. Noi siamo stati molto felici di scoprire una settimana prima del referendum che il Pd era favore dell’acqua pubblica. Noi ci auguriamo che questa operazione di positiva apertura continui e che non ci sia una chiusura da parte delle forze politiche molto interessate a sostituire Berlusconi al governo, ma poco interessate a comprendere come migliorare i destini del nostro Paese.
di Valeria Bellagamba