
In base a una ricerca condotta dagli studiosi australiani E. J. Steele, L. C. Giles, M. J. Davies, V. M. Moore pubblicata recentemente nella rivista accademica “Human Reproduction” edita dagli Oxford Journals emerge un fenomeno interessante relativo al collegamento sussistente tra precarietà e l’elevata età in le cui donne scelgono di intraprendere una gravidanza. Il rapporto dei ricercatori si basa sull’analisi di alcuni dati raccolti dal Life Journeys of Young Women Project di Adelaide e si è concentrato, in particolare, sulla condizione delle donne di 35 anni d’età; in base allo studio, il lavoro a tempo determinato o intermittente influenzerebbe negativamente la demografia perché inibisce la volontà delle cittadine di portare avanti una gestazione.
Insicurezza, mancanza di sostegno economico fisso, carenza di realizzazione professionale e difficoltà a condurre uno stile di vita regolare condizionano la componente femminile e le spingono a ritardare l’età in cui decidono di mettere al mondo un figlio. Le donne precarie, indipendentemente dal loro background economico e formativo, sarebbero ugualmente influenzate da questo fenomeno, secondo i ricercatori australiani.
Lo studio Steele, Giles, Davies e Moore, sebbene condotto in Australia con dati raccolti nel contesto del paese oceanico, è valido, a detta degli stessi esperti, per tutto il mondo occidentale, quel mondo che sperimenta la precarietà e la propone come modus vivendi oramai ineludibile. Sotto questo profilo si sono chiaramente espressi i ricercatori: “Le condizioni dell’impiego precario sono divenute sempre più dominanti negli ultimi decenni nel contesto dei paesi occidentali. La relazione tra le condizioni di lavoro precarie ed età della prima procreazione è stata esaminata in molti paesi d’Europa e sono stati ottenuti vari risultati”.
Redazione online