
Da oltre una decina di giorni la Bosnia Erzegovina è lo scenario di una serie di proteste anti governative nell’ambito delle quali la popolazione sta esprimendo il proprio disagio sociale economico e occupazionale e denuncia la corruzione e la mancanza di misure contro la povertà e la crisi economica nel paese.
ONDATA DI PROTESTE– Il movimento è esploso il 5 febbraio a Tuzla dove 6mila persone sono scese in piazza per chiedere le dimissioni del governo cantonale in un raduno promosso dai sindacati e dal gruppo Facebook “50.000 persone per un futuro migliore” al quale hanno aderito studenti, pensionati, disoccupati e operai minacciati dalla chiusura delle fabbriche.
La protesta si è estesa nel resto del paese toccando le città principali della Bosnia tra cui Sarajevo, Mostar e Bihać.
Nel corso delle manifestazioni si sono tenuti anche momenti di tensione il 7 e l’8 febbraio con scontri tra forze dell’ordine e manifestanti: gli agenti che hanno difeso gli edifici governativi in tenuta anti sommossa hanno tentato di diperdere la folla che ha reagito in maniera violenta lanciando sassi e incendiando cassonnetti e pneumatici.
ACCORDO– Lo Stato è composto da un governo centrale suddiviso in Repubblica Serba di Bosnia e Federazione Croato Musulmana, che a sua volta è composta da dieci cantoni con propri governi locali.
Le violenze si sono placate con le dimissioni di quattro governi cantonali (Tuzla, Mostar, Sarajevo e Bihać), il rilascio di numerosi dimostranti arrestati nei giorni delle proteste e con la creazione di “Plenum”, lo scorso 10 febbraio, ovvero libere assemblee di cittadini incaricati di elaborare delle proposte in termini di strategie di welfare e di sviluppo economico e sociale del Paese.
RIPRESA DELLE PROTESTE – Tuttavia, come riporta Euronews, la protesta prosegue a Sarajevo dove questa mattina circa 200 persone si sono radunate davanti al Palazzo della Presidenza della Repubblica e hanno chiesto le dimissioni del governo. Un disagio espresso contro le privatizzazioni ritenute delle manovre di un’élite corrotta mentre continua a salire il tasso ufficiale di disoccupazione che è del 30% e tocca il 60% tra i giovani.
RAPPORTI CON COMUNITA’ INTERNAZIONALE – Come riporta ipsia-acli.it, sul fronte Ue non ci è stata una reale presa di posizione: da una parte l’alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia-Erzegovina Valentin Inzko avrebbe annunicato il possibile invio di truppe EUFOR per garantire la sicurezza nel Paese, dall’altra Catherine Ashton, alto rappresentante per la politica estera UE, ha invitato i leader bosniaci ad ascoltare la popolazione e ad avviare nel Paese delle riforme economiche e politiche.
Infatti, il sistema politico della Bosnia-Erzegovina è una macchina in cui viene sprecato denaro pubblico con decine di partiti che ottengono finanziamenti statali e una macchina amministrativa estremamente dispendiosa.
Tuttavia, ci ‘interroga sull’efficienza dell’Accordo di Dayton (General Framework Agreement for Peace -GFAP- con il quale il 21 novembre 1995 si mise un termine alla guerra civile jugoslava e con il quale furono create la Federazione Croato-Musulmana (51% del territorio nazionale, 92 municipalità) e la Repubblica Serba (RS, 49% del territorio e 63 municipalità).
Nel giugno del 2008 la Bosnia ed Erzegovina ha firmato con l’Unione europea l’accordo di Stabilizzazione e Associazione e nel mese di aprile del 2010 viene annunciato che in occasione della conferenza UE-Balcani che si sarebbe tenuta a Sarajevo ai primi di giugno del 2010, l’Unione europea avrebbe abolito i visti per i cittadini bosniaci.
Ma, come ricorda it.ibtimes.com , la Bosnia ed Erzegovina ha poche speranze di entrare nell’UE perché nel paese non vengono rispettati i parametri di ingresso: a partire dalla Costituzione in contrasto con la Convenzione europea per i diritti dell’uomo in quanto antepone i diritti delle etnie a quelli dei cittadini.
Tanto che nel 2013, l’Ue ha sospeso 47 milioni di euro di fondi pre-adesione (Ipa) e ha rimandato la concessione di nuovi finanziamenti.
A differenza della Croazia e Slovenia che sono entrate a pieno titolo nell’Ue, la Bosnia-Erzegovina resta molto addietro nelle trattative mentre cresce la povertà.
Redazione