
All’indomani dell’intervento di Matteo Renzi nell’emiciclo di Strasburgo per l’insediamento dell’Italia alla guida del semestre europeo e quando ancora sembrano riecheggiare le parole rivolte al premier da Manfred Weber «L’Italia ha il 130% di debito, dove li prende i soldi? I debiti non creano futuro, lo distruggono» ecco che si torna a parlare di spending review, un termine entrato nel lessico corrente della politica con l’investitura, dall’altro, di Mario Monti alla guida del Paese e divenuto così ricorrente da sopravanzare ogni altra categoria di confronto e pensiero.
Di spending review si è parlato per il taglio agli stanziamenti statali e la definizione dei tempi di pagamento entro 6o giorni da parte della Pubblica Amministrazione; ora il Commissario del Governo Carlo Cottarelli e il Ministero dell’Economia sono concentrati sulle misure da adottate con il decreto Irpef e il decreto Pa e necessarie a conseguire gli obiettivi di contenimento della spesa previsti per quest’anno: ben 2,1 miliardi. Un lavoro che, oltre ai provvedimenti attuativi sul sistema di erogazione, prevede anche iniziative mirate al controllo dei criteri di spesa.
In questo contesto Cottarelli è in procinto di presentare al Comitato spending – al più tardi entro luglio – la sua proposta per ridurre il numero delle partecipate e mettere sotto controllo la macchina pubblica: l’obiettivo è una riforma definitiva del sistema di acquisti in beni e servizi da parte degli enti statali, un varo che sembra essere prossimo, anch’esso, a compiere il passo fondamentale dei provvedimenti attuativi. La misura va di pari passo con il censimento e la riduzione degli enti autorizzati a spendere in nome e per conto dello Stato – le cosiddette centrali d’acquisto -. Recenti stime parlano di un numero prossimo alle 32mila unità. L’obiettivo è ridurne gradualmente il numero a 35. Cottarelli si muoverà in tandem con Raffaele Cantone, il magistrato scelto dal Governo per guidare l’autorità anticorruzione. La presenza di Cantone è conseguente all’ultimo decreto di riforma della pubblica amministrazione che ha accorpato nell’Anac – la disciolta Autorità di vigilanza sui contratti pubblici – attribuendone i relativi poteri al nuovo commissario.
Cottarelli e Cantone sono in procinto di spedire oltre cento lettere, firmate da entrambi, ad altrettanti enti pubblici: verranno chieste spiegazioni sulle modalità di acquisto dei beni e, sopratutto, le copie dei contratti siglati al di fuori dal “metodo Consip” – le procedure standard previste per gli approvvigionamenti della Pubblica Amministrazione – su 7 settori fondamentali: forniture elettriche, gas, telefonia e acquisti di carburanti. L’indagine permetterà di acquisire dati importanti per capire gli scostamenti di prezzo dai riferimenti standard. In assenza di risposte, o dinanzi a risposte incomplete, è previsto l’invio della Guardia di Finanza per le verifiche del caso e, nei casi limite, acquisire carte. Un metodo, certo pervasivo, ma che rientra nei poteri conferiti dal decreto che ha istituito il commissario alla spesa. Per completare il quadro è previsto, entro la medesima scadenza di luglio, l’emanazione di un decreto con i “prezzi di riferimento Consip” cui le Pubbliche Amministrazioni dovranno attenersi nei loro acquisti. Le stesse, entro ottobre, dovrebbero poter contare di indici con caratteristiche essenziali dei beni e servizi attualmente esclusi dall’elenco Consip.
Il problema principale della spesa rimane tuttavia a monte ed è irrisolto fin dai tempi dell’insediamento di Mario Monti: la voragine delle società partecipate di Comuni e Regioni. Le difficoltà si presentano fin dal censimento: non è affatto agevole comprendere quante siano, e in che modo spingere i Comuni a disfarsene. Si parte da un numero prossimo alle 10mila aziende L’obiettivo e di ridurle fino ad arrivare a mille unità, mediante la soppressione o la vendita di quelle che non sono di pubblica utilità; obiettivo non impossibile se si considera che solo il 20% opera nei settori fondamentali dell’elettricità, gas, acqua, trasporti: l’80%, fa altro. Un fine ragionevole dal momento che il Tesoro e Palazzo Chigi hanno finora censito non meno di 350 società impegnate nella produzione di alimenti o nella organizzazione di gite turistiche. Tra le ipotesi allo studio per incentivarne la dismissione c’è quella di abolire il tetto di spesa previsto dal Patto di stabilità interno per Comuni e Regioni che provvederanno a tagliare le partecipate inutili. E sempre in tema di dismissioni si guarda all’Agenzia del Demanio per il recupero, entro il prossimo anno, di risorse disperse nella gestione degli immobili pubblici.
Dunque nel complesso quello che si appresta a realizzare l’Esecutivo è un intervento pieno di sfaccettature e, a dir poco, di immane entità. Ci domanda a questo punto che cosa ne è stata spending review annunciata dal Governo Monti già nel luglio del 2012 e rimasta, in larga parte, lettera morta. La sensazione è di due anni persi inutilmente, dinanzi ad un debito pubblico che a fine 2012 ammontava 1.989,5 miliardi per arrivare, correndo, a superare l’attuale quota di 2.146 miliardi fino al punto di esporre l’economia del Paese dinanzi al rischio tracollo e il premier al sarcasmo di Manfred Weber dinanzi al Parlamento Europeo.
Redazione