Stati Uniti primi produttori di petrolio al mondo

Pompe per l'estrazione del petrolio negli Usa (David McNew/Getty Images)
Pompe per l’estrazione del petrolio negli Usa (David McNew/Getty Images)

Una svolta negli equilibri geopolitici internazionali è destinata ad arrivare ancora una volta dal petrolio, l’oro nero da cui ancora dipendiamo fortemente per i nostri fabbisogni energetici. Gli Stati Uniti, infatti, hanno raggiunto l’Arabia Saudita nella produzione di petrolio liquido, con 11,5 milioni di barili al giorno. La notizia, riporta AffariItaliani.it, è stata data dal quotidiano economico britannico Financial Times che cita i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia di giugno e agosto. In questi mesi Usa e Arabia Saudita sono stati testa a testa nella produzione di petrolio e prodotti annessi come etano e propano In questo mese di ottobre o il prossimo novembre ci sarà il sorpasso di Washington su Riad, prevede il Financial Times. Un evento che verrebbe a verificarsi per la prima volta dal 1991 e che è destinato ad incidere sugli equilibri internazionali.

Gli Stati Uniti puntano soprattutto a soddisfare la domanda interna piuttosto che ad esportare il greggio, in modo da raggiungere l’autonomia energetica e non dipendere più dai Paesi del Golfo, come invece è per la Cina, il loro grande competitor.

Con il boom della produzione di petrolio in Usa, gli equilibri internazionali tornerebbero a spostarsi verso l’America, come continente se si tiene conto anche delle estrazioni di Brasile, Canada e Colombia, nuove potenze petrolifere.

Al momento i vantaggi, enormi, sono per le aziende statunitensi in termini di competitività: la grande produzione di energia in casa porta ad una notevole riduzione dei costi di produzione. Tuttavia i sostenitori del petrolio devono fare i conti con le associazioni ambientaliste e con una parte sempre più larga dell’opinione pubblica Usa contraria a nuove trivellazioni e nuovi oleodotti e favorevole invece alle energie rinnovabili. Un movimento di opinione che ha trovato anche il recente sostegno in una delle più grandi famiglie del capitalismo Usa, i Rockfeller, che proprio nei giorni scorsi avevano annunciato l’abbandono del petrolio per investire solo nelle energie rinnovabili.

Al momento uno degli effetti del petrolio statunitense è il calo del prezzo del greggio, nonostante la crisi siriana. Dal 2012 al 2014 il costo di un barile è sceso da 125 a 95 dollari. Una situazione che danneggia i Paesi dell’Opec (l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), che stanno già pensando di tagliare la produzione per fermare la discesa dei prezzi.

Fanno parte dell’Opec Algeria, Angola, Libia, Nigeria, Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Ecuador e Venezuela.

Redazione