
Dopo Tripoli, cade Tobruk non per mano dei miliziani islamici, questa volta, ma su decisione della magistratura libica. E’ la Corte Suprema del Paese nordafricano ad assestare un colpo mortale alla già fragile rappresentanza libica sulla scena internazionale. La Corte ha accolto il ricorso presentato da parlamentari islamici del Congresso nazionale libico di Tripoli, l’ex assemblea legislativa, eletta nel luglio 2012, dove erano in maggioranza proprio gli islamici, disponendo lo scioglimento della nuova assemblea, quella di Tobruk, scaturita dalle elezioni del giugno scorso. Nel porto di Tobruk sulla Libia orientale la nuova assemblea era solita riunirsi in una nave, dopo la presa di Tripoli da parte degli islamici.
Le motivazioni della Corte
Le milizie filo islamiche, un raggruppamento denominato Alba della Libia, in agosto hanno conquistato gran parte di Tripoli, e imposto un Parlamento e un governo “paralleli” a quelli riconosciuti dalla comunità internazionale. I due governi e le due assemblee legislative erano lo specchio di un Paese spezzato in due, un Paese che la pronuncia della Corte non riconduce ad unità ma rischia di polverizzare definitivamente. La decisione ripristina infatti un’assemblea svuotata di contenuto rappresentativo, il vessillo sfilacciato di una nazione che scompare. Il ricorso accolto dalla Corte, spiega l’agenzia ufficiale Lana, si fondava sulla incostituzionalità delle riunioni a Tobruk della nuova assemblea. Secondo la costituzione provvisoria libica, il Parlamento per essere legittimato avrebbe dovuto insediarsi a Tripoli e riunirsi a Bengasi. Questa almeno l’interpretazione dei 21 deputati che hanno contestato l’assemblea Tobruk, tesi accolta dalla Corte. La pronuncia ha una valenza tale da compromettere il governo in carica, fino ad oggi legittimato dalla nuova assemblea. Entrambi, riconosciuti dalla comunità internazionale, perdono ruolo e rappresentatività.“Il Parlamento di Tobruk è annullato e tutte le sue decisioni sono nulle. Conformemente alla decisione della Corte, sono legittime tutte le decisioni prese dal Congresso nazionale, compresa la formazione del governo di salvezza nazionale, e applicabili sin da ora” ha detto il vicepresidente del Congresso, Saleh al-Makhzoum.
Le elezioni di giugno
Dopo averla sollecitata l’assembla ha dunque recepito, anche formalmente, la decisione dei giudici. Un dialogo tra istituzioni distanti ormai da tutto, in un Paese al collasso dove l’areoporto di Tripoli è stato pr mesi un campo di battaglia. Le urne di giugno, che avevano portato all’elezione dell’assemblea ritiratasi a Tobruk, era stata funestata da scontri e violenze, nonostante imponenti misure di sicurezza. Un’affluenza bassissima: 630 mila votanti su un milione e mezzo di elettori registrati; meno della metà rispetto ai tre milioni e mezzo degli aventi diritto. Era l’inizio del crollo, la sfiducia nelle istituzioni democratiche che lasciava repentinamente spazio al caos. Negli scontri aveva perso la vita Salwa Bugaighis, avvocato attiva nella difesa dei diritti umani. In prima fila nella difesa dei detenuti politici durante il regime di Muammar Gheddafi, era stata tra i promotori delle manifestazioni a Bengasi del 17 febbraio 2011, l’atto di nascita della rivoluzione contro il regime. Morto Gheddafi otto mesi più tardi, morta Salwa Bugaighis meno di tre anni dopo la Libia vede ora la fine di un’ assemblea eletta, pur nata nell’indifferenza e nel sangue di quei giorni. Sembrava il momento più tragico per il Paese, ma il peggio doveva ancora venire. E niente lascia credere che sia trascorso oggi il peggio, con un Parlamento annullato e un altro che riemerge come un fantasma a rappresentare qualcosa che non c’è più. Tra i molti commenti della comunità internazionale è la frase del nostro Ministro della Difesa, Roberta Pinotti ad apparire emblematica. E’ una desolata constatazione, un sussurro quasi: “Percepiamo distintamente il pericolo di una situazione che si aggrava”. Distintamente: come si percepisce il rumore di un crollo in una terra desolata, lo schianto sordo di un’ultima paratia che cede.
Armando Del Bello