Immigrazione, Obama sfida il Congresso

Obama Presents National Medals Of Science And Technology And Innovation
Barack Obama (Chip Somodevilla/Getty Images)

Lo aveva annunciato dal Myanmar lo scorso venerdì. Tornato a Washington, il presidente Usa Barack Obama ha dato il via all’epocale riforma sull’immigrazione negli Stati Uniti. E lo ha fatto ieri sera in modo vibrante, con un messaggio alla nazione trasmesso in diretta tv dalla East Room della Casa Bianca. Obama reagisce così con forza alle difficoltà in politica interna che derivano dalla sconfitta alle elezioni di midterm dello scorso 4 novembre, dimostrando di non essere intenzionato ad accettare il ruolo di “anatra zoppa”. Con il provvedimento sull’immigrazione il presidente Usa vuole ricompattare lo zoccolo duro del suo elettorato. L’immigrazione per lui è il terreno giusto perché gli consente di mantenere una vecchia promessa elettorale. La sfida è appena cominciata e durerà per i prossimi due anni, estendendosi anche a temi come il climate change. Il discorso di Obama, nel suo stile vibrante, citando anche le Sacre Scritture, ha fatto leva sulle corde sensibili dell’animo di ogni cittadino Usa, di qualsiasi etnia, anche della maggioranza dei WASP (White Anglo-Saxon Person). Spiegando i motivi profondi che lo hanno spinto a cambiare le regole dell’immigrazione per decreto (e non passando per il Congresso e il Senato) ha detto: “Siamo sempre stati un popolo di immigrati, siamo stati stranieri e il nostro ideale comune di adesione ci ha portato dove siamo oggi. Non ho intenzione di fare amnistie di massa ma solo di agire con responsabilità e buon senso”. Il decreto, di fatto, regolarizza 5 milioni di immigrati illegali, proteggendoli dai rimpatri forzati e garantendo loro un permesso di soggiorno e di lavoro. I parlamentari repubblicani, intanto, accusano il presidente di violare la Costituzione con la sua iniziativa. Il passo compiuto ieri segna una rottura netta con il Congresso e apre una campagna elettorale che durerà fino alle presidenziali del 2016. Sicuro di sé, Obama ha replicato alle critiche sostenendo di avere “l’autorità legale per emettere queste disposizioni. Ritengo – ha aggiunto – che la soluzione migliore resti quella di una legge approvata dal Congresso. Votate una riforma dell’immigrazione e io abolirò subito i miei provvedimenti”. Fino ad allora, in estrema sintesi, ecco i tre punti su cui si fonda il decreto immigrazione di Obama: inasprimento dei controlli ai confini contro l’immigrazione illegale, chi sarà colto in fragrante sarà rispedito a casa; priorità di deportazione dei criminali che attentano alla sicurezza pubblica, come terroristi e componenti di gang; controllo dei precedenti fiscali e personali, gli immigrati senza documenti, ma che vivono da cinque anni negli Usa, potranno avere un permesso di lavoro di tre anni (se superano i controlli di criminalità e sicurezza). Il presidente Obama, con coraggio istituzionale, sta cercando di ridefinire il profilo degli Stati Uniti da consegnare al suo successore, che sia repubblicano o democratico. Chissà che l’Europa non abbia voglia di emulare queste scelte che possono fare la storia del mondo

C.M.