
Ha trovato molto riscontro sulle pagine del Mirror e di altri media britannici la notizia di un farmaco, finanziato dal Pentagono con 550 mila dollari, che può allungare la vita dei soldati feriti sul campo di battaglia. Al momento il metodo, ideato da Geoffrey Dobson, ricercatore presso la Division of Tropical Health and Medicine della James Cook University nel Queensland, è in sperimentazione: si basa su una sorta di “ibernazione” della pressione sanguigna, in modo da allungare il tempo per intervenire e prestare soccorso.
Lo scienziato che si sta occupando del progetto ha spiegato: “Durante le guerre in Iraq e Afghanistan oltre l’87% dei soldati sono deceduti nei primi 30 minuti dopo il ferimento, prima che riuscissero a raggiungere l’ospedale più vicino. Almeno un quarto di questi uomini aveva riportato ferite curabili e sarebbe riuscito a scongiurare la morte se fosse arrivato in tempo in ospedale. Il tempo, in quel caso è stato assassino”.
L’obiettivo è, appunto, quello di fornire sufficiente pressione sanguigna agli organi vitali anche nel caso in cui il soggetto abbia subito un’ingente perdita di sangue o un trauma cranico. “La medicina, con alte capacità coagulanti, può essere iniettata direttamente nel sangue, riducendo anche l’infiammazione”, ha proseguito il ricercatore della Cook University.
Dopo una serie di colloqui e verifiche dei dati sperimentali il farmaco potrebbe essere anche approvato dalla Food and Drug Administration ed estendere così anche ad usi “civili” l’utilizzo, contribuendo, si spera, a salvare molte vite.
Ap