
E’ durato quattro ore l’interrogatorio di Marco Di Stefano, il deputato Pd coinvolto nello scandalo LazioService, il quale ha dovuto rispondere alle domande dei pm romani, avvalendosi della facoltà di non rispondere rispetto alle accuse di corruzione per la presunta tangente da 1,8 milioni di euro che avrebbe ricevuto dai costruttori Antonio e Daniele Pulcini, mentre ha dato la propria versione dei fatti rispetto ai rapporti con Alfredo Guagnelli, ritenuto il suo braccio destro, sparito dalla circolazione nell’ottobre 2009 e sul cui caso di scomparsa la procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio volontario.
Al termine dell’interrogatorio, Di Stefano ha rilasciato una nota, nella quale ha spiegato: “Mi sono riservato di produrre a brevissimo una memoria riepilogativa con allegati documenti per chiarire le complicate vicende che mi riguardano e conseguentemente di sottopormi alle domande degli inquirenti. Oggi ho manifestato ai magistrati, verso il lavoro dei quali ho nutrito e continuo a nutrire una stima e una fiducia incondizionate, la necessità di riacquistare una minima serenità personale e familiare che mi permetta di ricostruire, con precisione e in maniera documentata, avvenimenti e vicende varie e diverse tra di loro, che risalgono a diversi anni fa, rispetto ad alcune delle quali sono venuto a conoscenza di avere un coinvolgimento solo in quest’ultimo fine settimana”.
Il Pd romano corre ai ripari
Nel frattempo, in seguito a queste inchieste che coinvolgono Di Stefano e a quelle che riguardano il sistema mafioso di ripartizione degli appalti nella Capitale, Roberto Morassut, deputato Pd ed ex-assessore all’urbanistica con Veltroni, intervistato a Radio Città Futura, lancia la sua proposta shock: “Bisogna aprire una discussione finalmente sincera al nostro interno, il nostro tesseramento andrebbe azzerato e rifatto da capo. Sono convinto che le riserve democratiche di questo partito siano ancora grandi e non vadano disperse, occorre recuperare quelle che si sono allontanate, intervenendo con delle azioni decise”.
“Bisogna intervenire su come si fa il tesseramento, sulla trasparenza delle spese elettorali, introdurre l’anagrafe patrimoniale degli eletti, accessibile ad ogni cittadino”, ha proseguito Morassut, che ha però voluto rimarcare le differenze tra l’ex sindaco Gianni Alemanno e i suoi predecessori di centrosinistra: “Il fenomeno del radicamento delle mafie a Roma è sicuramente datato, però non credo che si debba fare un appiattimento su tutte le amministrazioni che in passato hanno governato Roma. La differenza è che, con la giunta Alemanno, quello con la criminalità è diventato un rapporto organico, stretto, quasi di dipendenza, ha fatto un salto di qualità profondo con la politica”.
Duro anche il presidente del Partito Democratico, Matteo Orfini: “Emerge a Roma un partito da rifondare e ricostruire su basi nuove”. Spiega l’ex leader dei “giovani turchi”: “Tantissimi militanti sono sconvolti e credo che la segreteria nazionale darà al più presto una risposta. C’è poi una questione di sistema sulla selezione della classe dirigente affidata sempre più all’esterno con le primarie e le preferenze, un meccanismo che rende più difficile il controllo da eventuali infiltrazioni”.
GM