Riforme, resa dei conti nel Pd

Partito Democratico (ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)
Partito Democratico (ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)

Chi pensava che dopo aver ceduto sull’approvazione del Jobs act, la minoranza Pd alzasse bandiera bianca, adeguandosi ai dettami della maggioranza renziana, ieri – dopo il voto in Commissione Affari Costituzionali alla Camera – ha repentinamente cambiato idea, palesandosi il fatto che la tregua armata all’interno del partito è terminata ben prima di quanto ci si aspettasse. Anzi, si è già alla resa dei conti, almeno a sentire gli esponenti della maggioranza Pd, a partire dal segretario e premier, Matteo Renzi, il quale ha attaccato: “Pensano di intimidirci, ma non mi conoscono: credono di mandarci sotto per far vedere che esistono, anche a costo di votare con Grillo e Salvini”.

“Non vale la pena di arrabbiarsi, andiamo avanti, c’è un Paese da cambiare. Oggi abbiamo lavorato sull’Ilva, altri preferiscono giochetti parlamentari”, sottolinea ancora Renzi, mentre uno dei relatori del provvedimento, Emanuele Fiano, non risparmia critiche alla scelta dei componenti della minoranza del Pd: “In politica e all’interno di un partito non si mandano mai sotto il governo e il suo capogruppo. E’ una questione di patti tra gentiluomini”. Per il ministro Maria Elena Boschi, “non c’è nessun timore” e “la parola finale spetta all’Aula”.

Ma nel partito, c’è chi – come il deputato Ernesto Carbone – crede che i conti vadano risolti nelle sedi preposte: “La minoranza dice di aver voluto mandare ‘un segnale’ con il voto contro il governo in commissione Affari Costituzionali? Il segnale lo avranno all’assemblea del partito di domenica prossima. C’era un accordo politico, il partito ha proceduto compatto fino a quando qualcuno ha preferito privilegiare il gesto atletico a discapito dell’interesse degli italiani. Ma le riforme non si fermeranno”. Poco importa se quell’accordo politico non sia stato rispettato nemmeno dai ‘frondisti’ di Forza Italia, con il voto di Maurizio Bianconi che ieri è risultato decisivo.

Avanti fino al 2018

Prova ad andare oltre rispetto a quanto accaduto ieri, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio, che in una dichiarazione all’agenzia Agi, sottolinea in maniera determinata: “Se la minoranza del Pd vuole andare a votare lo dica. Noi vogliamo continuare e arrivare fino al 2018. Gli incidenti parlamentari possono anche capitare, ma quello che è successo ieri non esiste. C’è un accordo, il governo è impegnato ad andare avanti con il programma, basta segnali di vecchia politica”.

Intervistata da ‘Intelligonews’, la senatrice Laura Puppato evidenzia invece: “Gli emendamenti hanno sempre valore positivo per il fatto che producono riflessione, ma quando sono per numero e modalità di proposta stravolgenti, il rischio è che si intenda bloccare. Credo sia corretto dire che a questo punto chi assume atteggiamenti che bloccano il cammino delle riforme se ne prede la responsabilità e si torna a casa”.

Duro infine il monito alla minoranza Pd: “Che il governo possa cadere per conflitti che possono impedire il completamento delle riforme tra Pd e ad esempio Ncd, è un’eventualità che l’elettorato potrebbe comprendere. Ciò che non sarà mai, mai compreso dagli elettori – e si illude chi lo pensa – è se il governo dovesse cadere per conflitti interni al nostro partito. Se la rottura nasce da questioni interne, per il Pd sarebbe mortale”.

 

GM