
Nessuna traccia di Yara. Il furgone Iveco Daily, la Volvo V40, gli abiti e gli oggetti seqestrati a Massimo Bossetti finora non hanno rivelato nulla di quanto già non si sapesse. Oltre alle due vetture sono 34 reperti esaminati in ogni dettglio: tra questi un paio di scarponi, un giubbotto nero da lavoro, un aspirapolvere. Niente di significativo. Lo aveva detto Bossetti «Cerchino ovunque, ma non troveranno nulla contro di me». Lo temevano gli investigatori: troppo il tempo trascorso dal delitto: tre anni e mezzo. La relazione depositata per il pm Letizia Ruggeri molto difficilmente avrebbe rivelato qualcosa di decisivo. Ma la procedura e le garazie di legge hanno i loro riti irrinunciabili, anche quando la probabilità è così bassa che la tecnica sembra messa al servizio di una scommessa.
Per la difesa di Bossetti le conclusioni cui sarebbero pervenute i Carabinieri confermano l’innocenza dell’assisitito. Ma per l’accusa il è il Dna sugli slip e sui leggings di Yara a mettere alle strette Bossetti, perchè le analisi hanno lasciato qualche dubbio sulla natura della traccia – forse sangue– non sull’appartenenza. La difesa vuole che il test si ripeta fin dall’estrazione dagli indumenti della vittima. Sia accolta o meno la richiesta il capitolo istruttorio non è chiuso definitivamente: qualcos’altro c’è, prelevato a Parma, che rimane sotto analisi. Un groviglio di fibre: peli, capelli, emersi negli angoli più nascosti del furgone di Bossetti dove sarebbe stata caricata la piccola. Forse quei reperti diranno qualcosa, forse resteranno muti e inutili. Sta tentando di ricavarne qualcosa il consulente del Pubblico Ministero Carlo Previderè dell’Università di Pavia .Mancano infine le relazioni sui telefonini e sui computer, uno portatile l’fisso, del carpentiere. L’accusa potrà forse prendersi la sua rivincita lì. Ma oggi a tirare un sospiro di sollievo è la dfesa, nessun altro.
ADB