Partite Iva in fuga dalla gestione separata Inps

Ragazze lavorano al pc (YURI KADOBNOV/AFP/Getty Images)
Ragazze lavorano al pc (YURI KADOBNOV/AFP/Getty Images)

Aumenti alle stelle per le aliquote previdenziali, le Partite Iva italiane scappano dalla Gestione Separata dell’Inps. Ulteriori batoste fiscali stanno per abbattersi sulle Partite Iva: nei prossimi quattro anni le aliquote previdenziali a loro carico passeranno dall’attuale 27% fino al 33% del reddito, così come stabilito dalla riforma varata dall’ex Ministro del Lavoro Elsa Fornero. Per molti piccoli lavoratori autonomi, per i quali l’apertura della Partita Iva ha rappresentato una forma di autoimpiego con cui mettere sul mercato le proprie competenze e capacità lavorative in un Paese dove la disoccupazione è in aumento, si tratta della mazzata finale, che li metterà definitivamente fuori mercato per lasciarli tra l’alternativa di lavorare praticamente gratis, solo per pagare tasse e contributi, oppure chiudere la Partita Iva ed entrare nel magico mondo della disoccupazione, ovviamente senza nessun ammortizzatore sociale, senza nessuna tutela. C’è però anche un’altra via, anche se non proprio “opportuna”: quella di lavorare in nero.

Saranno questi gli effetti delle geniali politiche del lavoro e della previdenza condotte dai governi di crisi degli ultimi anni, quelli che da Mario Monti in poi avrebbero dovuto “salvare l’Italia” e che quando hanno messo mano alle riforme del mercato del lavoro l’hanno fatto come se vivessero su un altro pianeta. Esimi professori di Economia che di colpo si sono trasformati nella più impreparata delle matricole universitarie: senza una visione di insieme del mondo del lavoro e senza nessuna considerazione delle spinte più propulsive, creative e innovative provenienti da quella parte del mercato che raccoglie spesso persone preparate, creative e produttive, il cui talento viene ogni volta mortificato e la cui capacità lavorativa sfruttata per fare cassa.

Stavolta però al governo potrebbe andare male, e chi ci ha provato a succhiare ancora sangue dai piccoli professionisti (che spesso tra l’altro sono dei lavoratori precari costretti a fingersi autonomi) potrebbe rimanere a bocca asciutta. L’Acta, l’Associazione dei consulenti del terziario avanzato, una delle più attive nel rappresentare gli interessi delle partite Iva e che ha lanciato una campagna contro l’aumento dei contributi con l’hashtag #siamorotti, ha messo in guardia su una vera e propria fuga delle partite Iva dalla Gestione Separata Inps, la cassa di previdenza a cui sono tenuti ad iscriversi tutti i lavoratori autonomi non iscritti ad alcun ordine professionale. “Da freelance ci trasformiamo in commercianti della conoscenza. O in artigiani della conoscenza“, scrive Acta in una nota citata dal Corriere della Sera, quasi rifacendo il verso ad una nota pubblicità di divani… Ovvero fuga dalla gestione separata per aprire una attività commerciale individuale, ovviamente finta, per poter accedere ad aliquote previdenziali sostenibili, come quella dei commercianti che è al 23%. Tra l’altro la Gestione Separata Inps gode di ottima salute, con i suoi otto miliardi di euro di attivo. Non si capisce dunque perché, se non per fare cassa o coprire altri buchi, i liberi professionisti siano costretti a cedere oltre un terzo del loro reddito, in molti casi basso, per pagare i contributi. Contributi alti, che peraltro non danno diritto ad alcuna pensione, posto che ci si arrivi, qualora il reddito fosse troppo basso. Per chi, infatti, non supera una certa soglia di reddito mensile, e dunque anche di contributi versati, non ci sarà alcun assegno pensionistico in futuro e dunque i contributi saranno stati versati a fondo perduto. Si paga solo avere la pensione minima, come se non fosse stato versato nulla. Una delle tante sperequazioni all’italiana.

“Nel momento in cui si stanziano risorse per dipendenti (80 euro), imprese (irap), artigiani e commercianti (minimi + inps), è paradossale che il lavoro autonomo e professionale divenga il bancomat dello Stato, spingendo sotto la soglia della povertà intere generazioni di lavoratori indipendenti”, si legge in un’altra nota Acta del 27 novembre scorso.

Mentre i lavoratori autonomi tremano in vista dei futuri aumenti contributivi, il governo Renzi ha pensato bene di rincarare la dose, riformando in peggio il regime dei minimi, quello che finora consentiva, prima ai soli giovani under 35 poi a tutti coloro che avessero un reddito inferiore ai 30mila euro annui, di aprire una Partita Iva agevolata, con imposta sostitutiva del 5% e senza obbligo di versamento Iva né di ritenuta d’acconto. Un regime agevolato per i primi cinque anni di attività, che poteva essere ulteriormente prorogato fino ai 35 anni. Ora il governo Renzi ha eliminato il limite temporale dei cinque anni, ma ha triplicato l’imposta sostitutiva portandola al 15% e soprattutto ha abbassato drasticamente le soglie di reddito per poter accedere al regime “agevolato”, portandola a 15.000 euro annui, lordi, per i liberi professionisti. Praticamente un reddito inferiore a quello di un operaio, da cui togliere un 15% di imposta sostitutiva sul reddito, applicabile ad una base imponibile calcolata secondo un sistema forfettario da cui non potranno essere più detratte le spese dell’attività professionale, ma solo i contributi, i quali ultimi con la riforma Fornero saliranno fino al 33%. Non c’è bisogno di essere geni della matematica per calcolare la cifra, ridicola, che rimarrà in tasca ai “liberi” professionisti, in attesa di un’elemosina da 80 euro.

Valeria Bellagamba