
L’ex presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi e l’ex membro del Cda Luciano Nataloni sono accusati dalla procura di Arezzo di omessa comunicazione di conflitto d’interessi. Secondo le indagini coordinate dal procuratore capo Roberto Rossi, infatti, i due dirigenti di una delle quattro banche “salvate” dal governo Renzi avrebbero sfruttato a fini personali il ruolo che avevano all’interno dell’Istituto, per godere di finanziamenti che altrimenti non avrebbero potuto ottenere.
Si tratta del risultato di una prima tranche di indagini affidate al nucleo Tributario della Guardia di Finanza, ma la lista potrebbe allungarsi, coinvolgendo altri componenti del Consiglio di amministrazione. Altre contestazioni della Procura riguardano poi la relazione di Bankitalia che nel febbraio scorso decise il commissariamento dell’istituto bancario toscano. Inoltre, si riferiscono al periodo che va dal 2013 al 2014, quando vicepresidente era Pier Luigi Boschi, padre del ministro delle Riforme, in questi giorni oggetto di numerose polemiche.
Nello specifico, il dossier degli ispettori di Bankitalia evidenziava come pratiche di finanziamento per 185 milioni si siano svolte in situazioni di conflitto d’interessi, generando 18 milioni di perdite. Quindi metteva sotto la lente di ingrandimento le posizioni di Rosi e Nataloni. Da qui l’accusa di omessa comunicazione del conflitto di interessi in relazione all’articolo 2391 del codice civile, secondo il quale “l’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata”. Nella sua relazione, infine, Bankitalia contestava un “buco” di circa tre miliardi di euro, da ripianare con le obbligazioni subordinate, ma ne avrebbe sconsigliato la vendita ai piccoli risparmiatori.
Rosi è anche accusato dal consigliere regionale toscano di Fratelli D’Italia, Giovanni Donzelli, di essere diventato socio – con la sua Nikila Invest – della Party srl di Tiziano Renzi, il papà del presidente del Consiglio, che costruisce outlet in varie città. L’amministratrice della società è la mamma del premier, Laura Dovoli, per cui è evidente l’obiettivo delle accuse di Donzelli, ovvero il conflitto d’interesse di Renzi: “In un Paese normale, Matteo Renzi si sarebbe già dovuto dimettere”.
GM