
Sono stati licenziati, senza nemmeno avere diritto alla tredicesima, per aver preteso un aumento di 32 centesimi al giorno: questa la sorte toccata a 68 operai di uno stabilimento del colosso statunitense delle stampanti, Lexmark, che ha anche uno stabilimento in Messico, a Ciudad Juarez. Da quel che si apprende, gli operai – i quali ricevono una paga di sei euro al giorno e lavorano nelle cosiddette ‘maquiladoras’, grandi fabbriche o meglio luoghi di sfruttamento, in cui si producono a poco prezzo le merci per l’esportazione, soprattutto con destinazione Stati Uniti – da tempo hanno provato a costituire un sindacato, per difendere i loro diritti e chiedere ritmi di lavoro meno estenuanti, ottenendo il risultato di essere licenziati in massa.
I lavoratori però non si sono persi d’animo e sono in stato di agitazione permanente, sostenuti anche dagli operai di altre quattro compagnie statunitensi, la Foxconn, la Eaton Bussman, la Scientific Atlantic e la Commscope. Intanto, hanno fatto anche appello a Papa Francesco, chiedendo di essere ricevuti per rappresentare le istanze di chi in Messico lavora nelle ‘maquiladoras’. In prima linea nel difendere gli interessi degli operai c’è l’avvocato Susana Prieto Terrazas, la quale ha spiegato ai giornali messicani che l’azienda espone i propri lavoratori a un rischio sanitario. Fuori dalle fabbriche, intanto, si alza il coro degli operai in protesta, oltre un migliaio: “Salario minimo anche per il gerente, così vede quel che si sente”.
GM