Matteo Renzi vs Dario Franceschini. Il Pd sempre più diviso

(Franco Origlia/Getty Images)
(Franco Origlia/Getty Images)

All’indomani della vittoria di quel “no” che si è opposto al cambiamento della Costituzione, la recente sconfitta referendaria spacca in due la maggioranza del segretario Matteo Renzi: renziani da un lato, franceschiniani (Areadem) dall’altro. E in mezzo Giovani Turchi, ancora con il segretario, bersaniani, vicini all’ex segretario e Roberto Speranza ora di certo tornati vicini ad Areadem. Ma la rottura vera si sta consumando tra i due vincitori del congresso contro Bersani: Renzi e Franceschini. Renzi si è infastidito per come Franceschini si è presentato quale portavoce del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sia nelle riunioni ristrette con Renzi, che in quelle di area nel gruppo parlamentare, oscurando un po’ la figura del segretario. Infastiditosi Renzi, si sono infastidite anche le altre aree del partito. Giovani Turchi sono dalla parte di Renzi e guardano con sospetto a Franceschini. Dal canto suo il ministro dei Beni Culturali mostra irritazione davanti ai media assicurando al contempo che Renzi è il segretario del Pd e nessun governo può nascere contro di lui. Certamente però Matteo Renzi non ha più la maggioranza nei gruppi parlamentari eletti in epoca bersaniana e modellati sull’asse Bersani-Franceschini che reggeva il partito nel 2013. Ha perso infatti l’appoggio dei franceschiniani, che lo incoronarono segretario esattamente tre anni fa. Renzi può ora contare su circa 50 fedelissimi a Montecitorio: qui i renziani puri all’inizio della legislatura erano solo 34. Al Senato al momento dispone di 16 eletti, di cui 13 iniziali. Franceschini conta invece una novantina di deputati, una trentina di senatori ed entrambi i capigruppo: Ettore Rosato alla Camera, Luigi Zanda al Senato. I bersaniani sono una ventina al Senato e una trentina alla Camera. 40 i Giovani Turchi a Montecitorio, 17 a Palazzo Madama. Dalla parte del segretario rimane anche ‘Sinistra è cambiamento’, che fa riferimento al ministro Maurizio Martina, che non nasce renziano ma lo è diventato, con la sua 50ina circa di parlamentari e i cuperliani (una decina) alla Camera. Rimasti col segretario, ma critici. E poi 4-5 prodiani, tra cui Sandra Zampa; 4-5 veltroniani, tra cui Walter Verini, un paio di cattodem e un paio di lettiani. Al Senato c’è infine il gruppetto dei cosiddetti ‘indipendenti’. Sono 13, tra loro ci sono senatori che hanno lavorato col segretario, da Anna Finocchiaro, presidente di prima commissione attivissima sulle riforme costituzionali, a Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa e primo dalemiano passato con Renzi. Comunque non basta. Renzi resta in minoranza sulla grande discriminante di questa crisi di governo: se andare al voto in primavera o aspettare, magari anche fino a fine legislatura nel 2018. Lui vorrebbe votare anche domani. La maggioranza dei gruppi vuole aspettare la fine di settembre. Nel frattempo al Quirinale si lavora per cercare un governo di larghe intese e Renzi passa la giornata con moglie e figli. Il quadro cambia di ora in ora.
BC