
L’ex premier Matteo Renzi ha aperto l’assemblea nazionale del Pd con una buona dose di autocritica, ma senza rinunciare a rispondere alla minoranza interna che chiedeva un congresso straordinario immediato: “Il leader è quello che quando perde lo ammette e dice che vuole ripartire. La sconfitta fa parte della vita. Senza inseguire vendette e ritorsioni. Per inseguire vendette e ritorsioni fare subito il Congresso sarebbe stata la scelta migliore. Certo, dire che con me si rischia la deriva autoritaria, mentre ci sono partiti azienda e partiti dove gli amministratori devono firmare contratti e sottoscrivere penali… E poi, vedere persone di questo partito festeggiare dopo gli exit poll, ha ferito il senso di appartenenza a questa comunità. Ma ho accettato il consiglio di chi mi ha detto di non fare del congresso il luogo dello scontro. Ho accettato l’idea di rispettare la tempistica e le regole. Rispetteremo le scadenze statutarie, sui contenuti, non regoleremo i conti. Ciascuno indossi le proprie ferite come crede, ma i circoli tornino a dicutere e approfondire ciò che serve all’Italia. La prima regola del nuovo corso deve essere di ascoltare di più, io per primo. La segreteria deve funzionare meglio, più plurali e meno autorevoli. Mercoledì ci riuniremo per cambiare passo. I nostri sindaci devono essere coinvolti di più. Ma Beppe Sala faccia ciò che i cittadini gli hanno chiesto di fare”.
Poi in merito all’analisi del voto referendario ha detto: “Vorrei che fosse l’assemblea per un’analisi seria e severa, ma anche caratterizzata da sano senso di passione per la cosa pubblica. trasparente e in streaming. Ci sono riforme di cui siamo orgogliosi: le unioni civili, il jobs act. Se la cultura contro lo spreco alimentare ha fatto passi avanti è perché c’è stata una battaglia culturale fatta da questo schieramento. queste riforme non puzzano e resteranno. Sto per fare l’analisi della sconfitta. I mille giorni del governo hanno segnato risultati che saranno raccolti in un libro in una cornice idelogica e ideale. Il Pd ha accettato di sporcarsi le mani. La politica non è indicare ciò che non va, non è l’urlo. Se si fa così e poi ci si nasconde di fronte alla possibilità di raccontare proposte, il Paese non va da nessuna parte. Se per dire no alla corruzione si dice No alle Olimpiadi, non si ferma la corruzione ma si fa male alla propria città. Ma i mille giorni sono il passato remoto di questo Paese, almeno per me e ora finiranno nel libro. E’ invece fondamentale dire, a chi ci ha votato Sì o No, che senza sogni non si va da nessuna parte, se la politica è di chi urla più forte. La politica è cambiamento e il Pd ha accettato la sfida. Abbiamo straperso, anche il 41% al referendum è una sconfitta netta. Sognavo 13 milioni, ne abbiamo presi 13 e mezzo, non è bastato. Dove abbiamo perso: al Sud, il nostro approccio non è stato di disinteresse, ho visitato i luoghi più difficili. Ma abbiamo sbagliato pensando fosse sufficiente una politica di investimenti e patti per il Sud senza il coinvolgimento vero di quella parte di Sud che doveva essere portata con noi in una sfida etica prima che economica. Il primo errore. Abbiamo messo tanti soldi per il Mezzogiorno, saranno utili. Ma dico che mettere queste risorse senza coinvolgere le persone è stato un errore. Bisogna ricostruire un ponte con queste persone. E solo noi possiamo farlo. I giovani: abbiamo perso sui 30 e 40enni, abbiamo perso in casa. Fa male, perché la nostra generazione che perde nella sua fascia di riferimento fa pensare. Perché? Rabbia? Non è una generazione arrabbiata ma disincantata, da presidenti del Consiglio indagati, presi a monetine, cresciuta col mito sella semplificazione e talvolta del semplicismo. Non siamo riusciti a prenderla sul referendum. E’ un luogo da cui ripartire, non fisico. Una generazione globale, ma la globalizzazione tecnologica fa pendant con sfide che mettono quella generazione a rischio”.
F.B.